biberon

Ricordo ancora lo stupore quando da bambino vidi per la prima volta quei finti biberon da bambola che, se rovesciati, si “svuotavano“, per tornare ad essere pieni una volta rimessi in posizione verticale. Quando scrivo un post, oggi, mi sento esattamente così: nel momento in cui scrivo mi sembra che sarà l’ultima cosa che scrivo, non avendo assolutamente la più pallida idea di cosa sarà la prossima cosa da pubblicare, il prossimo argomento da trattare (e sarebbe ora che la smettessi, direte voi! ;-)). Poi, passati un giorno o due, a volte di più, a volte meno, ecco che uno spunto, una idea, a volte qualcosa che ricevo, ed ecco sfornato il nuovo post. Mi piace questa libertà: non ho nessun impegno, nessuna scadenza, mi lascio guidare dal piacere e dal momento. In questo sono fortunato: avendo un altro lavoro che mi dà da vivere (per ora), ho quella libertà e leggerezza che ti dà il fatto di fare una cosa per hobby, senza scadenze o termini utlimi per la consegna.

Ne parlavo con la moglie qualche giorno fa e la considerazione era: “Pensa che bello sarebbe se questa attività fosse (anche) remunerativa.” Insomma, tutti quanti abbiamo accarezzato, prima o poi nella vita, l’idea che sarebbe bellissimo essere pagati per fare quello che ci piace fare.

  • Ti piace andare in bicicletta? Sai che bello se ci fosse chi ti paga per andare in bicicletta?
  • Ti piace camminare in montagna? Sai che bello se ci fosse chi ti paga per andare in montagna?
  • Ti piace dormire fino a tardi? Sai che bello se ci fosse chi ti paga per dornire fino a tardi?
  • Ti piace stare coi bambini? Sai che bello se ci fosse chi ti paga per giocare coi bambini?

Ma forse anche no.

Perchè d’altro canto se le cose che ci piace fare diventassero remunerative, ci sarebbe il rischio che nel meccanismo “do ut des“, la leggerezza, la libertà, la spensieratezza che caratterizzavano queste attività prima, si trasformino in impegno, scadenze, orari definiti. E allora (sempre un rischio, non una certezza) potrebbero diventarci pesanti. Un po’ quello che succede a volte col matrimonio, non a torto definito da alcuni la tomba dell’amore: se i vincoli, il senso di oppressione, i legami derivanti dagli impegni diventano il nostro pensiero predominante, il rischio è che queste imposizioni facciano, un po’ alla volta, scivolare da parte l’amore.

Impossibile allora coniugare passioni e attività remunerative? Tutt’altro, però – a mio modesto avviso, e chiedo parere agli illuminati commentatori di queste pagine – serve molta cautela: e imparare a non far diventare il bisogno la motivazione principale della attività che ci piace fare. E – come cerco da una vita di insegnare ai miei figli – fare anche il processo contrario: cioè, se siamo pagati per fare una certa attività, se dobbiamo fare qualcosa per forza, questa cosa farla diventare, con l’amore e la cura nel farla bene, una nostra passione. Anche questo processo inverso funziona, e innesca una reazione positiva in quello che dobbiamo fare: meglio la facciamo, più ci piace farla, e più otteniamo riconoscimenti (da noi stessi o dall’esterno), e aumenta così il nostro impegno e il nostro piacere nel farla.

Commenti aperti a sentire le vostre esperienze.

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