Ricevo e volentieri pubblico
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Negli ultimi 100 anni la popolazione mondiale è quadruplicata passando dai 2 miliardi del 1925 agli 8,2 miliardi del 2024. Una crescita accelerata dal drastico calo della mortalità infantile, dai progressi medico-sanitari e dall’aumento dell’aspettativa di vita globale che ha raggiunto una media di 73,3 anni. Sarebbe dunque naturale attendersi un’ulteriore esplosione demografica entro la fine del secolo, e infatti da tempo si parla di allarme sovrappopolazione. Una paura ben colta dai miliardari della Silicon Valley che invitano a finanziare la colonizzazione del cosmo. In realtà le cose stanno andando diversamente. Le Nazioni Unite presentano periodicamente il «World Population Prospects», rapporto che monitora l’andamento demografico di tutti i Paesi del mondo, e negli ultimi anni è stato necessario aggiornare le previsioni per difetto, perché si cresce sempre un po’ meno di quanto atteso. La ragione numero uno è il crollo del tasso di fertilità come racconta in un’accurata analisi Federico Fubini nella sua newsletter «Whatever it takes». Per mantenere una popolazione costante il numero medio di figli per donna in età feconda dovrebbe essere pari a 2,1. Nel corso dei decenni la media globale è precipitata passando dai 5,1 figli per donna del 1965 a 3,7 nel 1980, a 2,8 nel 2000 e 2,2 nel 2024. Oggi 131 Paesi e aree del mondo sono già sotto la soglia limite (Qui pag. 41), se però li prendiamo singolarmente le tendenze sono diverse. Vediamole nel dettaglio.
I Paesi che già perdono popolazione
Il rapporto dell’Onu divide il pianeta in tre gruppi, e fotografa le prospettive entro i prossimi 30 anni e a fine secolo. Nel primo gruppo ci sono 63 Paesi che hanno raggiunto il picco demografico e dove è già iniziata la fase di declino. Si trovano principalmente in Europa e in Asia, ospitano il 28% della popolazione mondiale: attesa entro il 2054 una perdita di abitanti del 14%. Fra questi c’è la Russia, che ha raggiunto il picco nel 1992 quando contava 149 milioni di abitanti e oggi, nonostante i generosi sussidi a favore della natalità offerti da Putin, ne registra 4 milioni in meno, per scendere a 135 milioni nel 2054. L’Ucraina è passata dai 51,8 milioni del 1995 ai 37 milioni di oggi, e secondo le proiezioni scenderà a 30 milioni nel 2054. Anche l’Italia è in fase discendente: dopo aver raggiunto la punta massima nel 2014 con 60,6 milioni di abitanti, in 10 anni ne ha persi un milione, e la prospettiva a 30 anni è di scendere a 50 milioni, mentre alla fine del secolo nel nostro Paese si conteranno appena 35,5 milioni di abitanti. Germania e Spagna inizieranno a calare da quest’anno, e nel 2054 la popolazione tedesca diminuirà di 7,2 milioni di persone, quella spagnola di 3,8 milioni. Fra le cause che hanno accelerato la decrescita e il crollo del tasso di fertilità ci sono un maggior benessere e il fattore culturale: un miglior accesso alla contraccezione, la donna che decide di concepire più tardi il primo figlio per avere più opportunità di istruzione e lavoro, e la necessità di contribuire al bilancio familiare.
Che succede in Asia
Chi resiste e chi continua a crescere
Infine il terzo gruppo che raccoglie 126 Paesi e in cui vive la maggior parte dell’umanità. In queste aree nei prossimi 30 anni la crescita sarà del 38%, e raggiungeranno quasi tutte il picco demografico entro la fine del secolo. Le nazioni che aumenteranno a ritmo più sostenuto sono quelle dell’Africa subsahariana, che triplicherà la sua popolazione passando dagli attuali 1,2 miliardi a 3,3 miliardi di fine secolo. I numeri più alti si registreranno nella Repubblica Democratica del Congo: da 107 milioni salirà a 429. Poi l’Etiopia, che passerà da 130 milioni a 366 milioni, e la Nigeria, che da 230 milioni salirà a 476. Anche gli Stati Uniti, nonostante il basso tasso di fertilità (1,6 figli per donna), continueranno a crescere, e a fine secolo conteranno 421 milioni di abitanti (più 86 milioni), soprattutto grazie alla capacità di attrarre masse di immigrati. Lo studio sottolinea come, senza l’apporto degli stranieri, nello stesso periodo perderebbero il 36% di popolazione. Fa eccezione l’India, che con i suoi 1,45 miliardi di abitanti è oggi il Paese più popoloso al mondo. Il Subcontinente raggiungerà il picco nel 2060 con 1,7 miliardi, poi inizierà a scendere e alla fine del secolo conterà poco più degli abitanti di oggi, 1,5 miliardi di cittadini.
Chi va controcorrente in Europa
In una posizione intermedia tra il secondo e il terzo gruppo si piazzano Francia e Gran Bretagna, che cresceranno nei prossimi 30 anni e riusciranno a rimanere stabili fino a fine secolo. La Francia salirà dagli attuali 66,5 milioni di abitanti (escluse le province d’Oltremare) a 68,1 milioni, mentre la Gran Bretagna passerà da 69 a 75,8 milioni.
Come mitigare gli effetti negativi
Il record della popolazione mondiale sarà raggiunto a metà degli anni 2080 quando sulla Terra abiteranno 10,3 miliardi di persone, ma da allora in poi inizierà una graduale discesa (10,2 miliardi a fine secolo). Dunque, la crescita complessiva sta rallentando, va a stabilizzarsi, e poi ovunque la curva inizierà una inversione perché si tratta di un processo universale e irreversibile definito «transizione demografica». La prosperità sarà possibile dove il rapporto popolazione-risorse è in equilibrio. Staranno dunque meglio quei Paesi che riusciranno a mantenere un tasso di fertilità di 2,1 figli per donna e quindi in grado di garantire il ricambio della forza lavoro necessario
a sostenere spesa pensionistica e assistenza. In quelli che stanno di parecchio sotto la soglia limite come Germania (1,45 figli per donna), Russia (1,4), Giappone (1,26), Spagna (1,22), Italia (1,21), Cina (1,18), Corea del Sud (0,73), si starà invece peggio. Per mitigare gli effetti negativi della mancanza di ricambio della forza lavoro, il Rapporto Onu suggerisce di attivare da subito strategie volte ad una buona gestione delle politiche familiari e dei flussi migratori e all’implementazione tecnologica per aumentare la produttività (robotica, automazione e intelligenza artificiale). Invita anche a pianificare attività compatibili con le categorie oggi escluse, a partire dai pensionati che possono ancora dare un contributo al mondo del lavoro.
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Il picco precoce è un segnale di speranza
In definitiva il picco demografico più precoce – scrivono le Nazioni Unite – è un’opportunità perché scongiura il pericolo di sovrappopolamento, e al tempo stesso costringe a mettere le basi per modelli di sviluppo e consumo più sostenibili. Vuol dire non restare nell’inerzia del modello del secolo precedente, ma avere la capacità di orientare i comportamenti sociali investendo sulla qualità, e non più sulla quantità. Incerte invece sono le conseguenze sul cambiamento climatico: «In teoria il calo della popolazione dovrebbe portare a un minor impatto sull’impronta ecologica – spiega a Dataroom il prof di Demografia e Statistica sociale dell’Università Cattolica Alessandro Rosina –. Ma questa è un’incognita, perché un maggiore benessere porta a maggiori consumi. L’auspicio è che veicoli anche una maggiore consapevolezza». Secondo le stime del Global Carbon Budget nel 2023 le emissioni pro-capite sono state maggiori nei territori più economicamente sviluppati: in Nord America il cittadino medio ha emesso 10,1 tonnellate di CO2, in Europa 6,6, in Asia 4,7, in America Latina 2,5, in Africa 0,96. In sostanza l’equazione: calo della popolazione, meno emissioni, non è automatica e tantomeno scontata.
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- Organizzazione per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO)
- Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO)
- Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura (UNESCO)
- Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO)
- Fondo Monetario Internazionale (IMF)
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