Venghino venghino, siore e siori, ecco il confronto scontro dell’anno:
alla vostra destra il personaggio numero 1:
Anti-europeista, autocrate, negazionista, filoputiniano e novax
Allo vostra sinistra il personaggio numero 2:
Pensionato, 71 anni, poeta.
Avete qualche dubbio sulla scelta del vostro eroe?
Avete qualche esitazione? Preferireste
- un pericoloso negazionista, novax, autocrate,
- o un poeta, un sognatore, un idealista, per di più “pensionato” (equivalente a “innocuo”)?
Peccato che il secondo è il killer, l’assassino, o il tentato assassino del presidente slovacco Robert Fico; gli ha tenuto un agguato, e gli ha sparato diversi colpi per ucciderlo (speriamo che Fico ce la faccia).
I giornalisti sono i complici vigliacchi del potere. Riescono a dipingere un assassino come un eroe e la vittima come il colpevole, e la cosa peggiore è che riescono a farlo quasi senza che ce ne accorgiamo.
M***e di uomini.
Integrazione
Giornalismo pandemico: “spesso è un mero copia incolla di comunicati stampa di governi e industria farmaceutica, numeri senza contesto a reti unificate e una cronica mancanza di messa in prospettiva accompagnata a grafiche quotidiane di colore rosso”, l’accusa di Serena Tinari, Press KIt 7 luglio 2024
Credo che sia molto importante che i conflitti di interesse siano esplicitati”, così inizia la lunga requisitoria contro il giornalismo pandemico di Serena Tinari, giornalista di inchiesta specializzata in medicina e salute pubblica, alla quale è stato assegnato il Premio 2021 in difesa della ragione.
“Io credo che l’informazione sia potere e che tutti abbiano il diritto di sapere la verità anche quando è scomoda, ma ecco, non ci si improvvisa specialisti in questo settore.
Quello che noi facciamo è il crocevia di giornalismo investigativo ed evidence-based medicine, anche chiamata EBM, ovvero la medicina fondata sulle prove. Condividono un approccio ipotetico-deduttivo. Ora, cosa significa per una giornalista d’inchiesta lavorare con la metodologia EBM? Ogni analisi deve essere fondata sulle migliori prove scientifiche al momento disponibili. L’incertezza, la mancanza di certezza devono essere comunicate al paziente nella medicina fondata sulle prove e, nel nostro caso, al pubblico. Significa anche mettere al centro cosa sappiamo ma anche cosa non sappiamo e vuol dire essere sistematici.
Nella copertura mediatica dei temi legati alla salute e alla medicina, quasi sempre e di certo troppo spesso, vediamo opinioni di esperti, vediamo studi in vitro o sperimentazioni animali e vediamo molti studi osservazionali, sempre presentati senza la classica frase “uno studio ha dimostrato che”. Bene che va, si tratta quindi di lavori di un livello basso di prova perché sono soggetti a bias e a fattori confondenti.
Arrivando invece al punto, la crisi del nuovo coronavirus e il giornalismo pandemico, che spesso è un mero copia e incolla di comunicati stampa di governi e industria farmaceutica, numeri senza contesto a rete unificate e una cronica mancanza di messa in prospettiva accompagnata da grafiche quotidiane di colore rosso.
Chi è l’esperto? Ci sono diverse discipline della medicina e della ricerca: virologi, immunologi, sviluppatori di vaccini, infettivologi, ricercatori clinici, farmacoepidemiologi, epidemiologi clinici e poi, nel comparto della salute pubblica, abbiamo gli epidemiologi delle malattie infettive, quelli della sicurezza vaccinale, quelli comportamentali, altri epidemiologi, poi ci sono gli ufficiali di salute pubblica e gli esperti di politiche sanitarie.
Dago Spia l’ha buttata un po’ a scherzare e ha fatto una simulazione simile all’album Panini delle figurine dei virologi. Poi è successo, un esempio che mi ha lasciato abbastanza perplessa: una biologa in televisione in Italia ha simulato la tosse da Covid ed è stata ripresa da tutti i giornali.
All’origine dei bias cognitivi, che sono anche molto importanti nella grande famiglia dei conflitti di interesse, che sono un tema fondamentale in medicina, ci sono interessi economici, ma non solo, hanno a che fare anche con lo statuto, con i titoli, anche i premi, l’ego, la reputazione. Ci sono giornalisti e scienziati che hanno acquisito un profilo pubblico, una fama nazionale esclusivamente grazie alla crisi Covid. Oggi hanno un conflitto di interessi, non finanziario ma molto importante.
Mi dispiace per tutti questi colleghi e colleghe che si sono dovuti improvvisare esperti di scienza e medicina nel giro di poco tempo. Sono passati 18 mesi e francamente non vedo grandi miglioramenti. Continuo infatti a vedere che si occupano di questa crisi molti cronisti di politica, attualità e cronisti parlamentari. Vedo molto copia e incolla di comunicati stampa, comunicati stampa governativi e dell’industria farmaceutica e vedo tantissimi pareri di esperti. È una cronica mancanza di messa in prospettiva insieme a un’inquietante ignoranza dei meccanismi di base della biologia e della medicina che spesso si traduce infine nella mancanza di messa in contesto perché, per dire che un dato fenomeno è anormale, devi sapere anzitutto cos’è normale. Sappiamo, per esempio, che qualunque numero ha senso solo in un contesto, ovvero in relazione a un denominatore. Per parlare più semplicemente, dieci gatti sono niente se hai una tenuta di dieci ettari, sono tantissimi se abiti in un monolocale senza balcone magari di 30 metri quadri. Siamo d’accordo, senza messa in prospettiva.
Io credo che sia gravissimo, oserei dire un peccato capitale, perché confonde la popolazione. E poi tante speculazioni e i modelli matematici presentati come se fossero degli oracoli. In un articolo di “Modeling the Models” del 2020, scritto da Carl Heneghan e Tom Jefferson, spiegano: “Tutti i modelli, che siano prospettici o retrospettivi, se sono fondati su principi scientifici, contengono sostanziali incertezze e sono incompatibili con dichiarazioni sicure come se fossero degli oracoli. I metodi moderni informatici rendono possibile e semplice adattare modelli precedenti con frammenti di dati, ma ogni epidemia è per definizione non lineare e caotica. I modelli sono accurati se sono accurate le informazioni che inseriamo, le limitazioni devono essere esplicitate e discusse ed infine tutti i modelli dovrebbero essere comunicati insieme a queste messe in guardia”.
Questo sappiamo che non succede praticamente mai.
Un fenomeno ricorrente nel trattamento giornalistico di questa crisi è l’uso del colore rosso. Ampia letteratura è disponibile sull’effetto che fa il colore rosso sulla psiche umana: pensiamo ai semafori, è il colore dell’allerta, dell’emergenza, è un colore che ci agita. Il rosso è diventato, con eccezioni naturalmente, anche il colore preferito per la nostra curva quotidiana, persino sulla piattaforma della Johns Hopkins che mezzo pianeta usa per cercare dati. Noi a Recheck preferiamo usare Our World in Data.
C’è anche un ricorrente uso di linguaggio bellico e anche su questo abbiamo una vasta letteratura scientifica. L’uso di retorica di guerra in salute pubblica e in medicina è opinabile perché porta molti rischi. Anzitutto divide il mondo fra buoni e cattivi, vincitori e vinti, spaventa e la paura non è mai una buona consigliera, tanto meno nelle politiche sanitarie. D’altronde, fra speculazioni anziché fatti e infinite interpretazioni e opinioni, la copertura mediatica della crisi corrisponde quasi sempre a vere e proprie promesse di apocalisse.
È oggettivo che le buone notizie non fanno audience, non creano click, non trainano. Quindi il modello dei media del cosiddetto click baiting si applica purtroppo anche a questa crisi internazionale.
Devo confessarvi che mi fanno gelare il sangue i giornalisti pandemici perché, appunto, all’improvviso sono tutti specializzati in medicina. Ma com’è possibile? Non è possibile infatti, purtroppo si vede.
Proseguimento:
https://presskit.it/2024/07/07/giornalismo-pandemico-spesso-un-mero-copia-incolla-comunicati-stampa-governi-industria-farmaceutica-numeri-senza-contesto-reti-unificate-cronica-mancanza-messa-prospettiva/