Qualcuno si svegliò a seguito dell’11 settembre 2001.
Come era possibile che degli aerei, progettati per volare, potessero sbriciolare delle torri con giganteschi piloni di acciaio?
Qualcuno si svegliò vedendo le scie chimiche che alcuni aerei rilasciavano.
Come era possibile che alcuni aerei le rilasciassero ed altri no, nelle stesse giornate? e che quelli che le rilasciavano lo facessero non dai motori, ma dalle ali?
Qualcuno si svegliò osservando che la quantità di denaro aumentava sempre.
Se i prezzi aumentavano, gli stipendi aumentavano, ci doveva essere qualcosa o quacuno che creava il denaro dal nulla.
Qualcuno si svegliò quando resero i vaccini obbligatori.
Ma se una cosa è per la mia salute, perchè me la devono imporre impdendomi di lavorare se non la faccio? E perchè l’aumento di morti esponenziale fra i cosiddetti vaccinati?
Qualcuno si svegliò quando cominciarono a vietare le attività umane con la scusa del green.
Ma perchè sottrarre le fattorie ai contadini, come se fossero la causa dei mali del mondo? E come è possibile che l’attività umana sia causa dell’aumento della Co2, che è prodotta da piante ed oceani, ed è un fattore fondamentale per la vita?
Qualcuno si svegliò quando capì che la siccità non era vera ma era anzi stata amplificata chiudendo gli invasi, cosa che poi gli si rivoltò contro quando cominciò a pivere e furono costretti ad allagare intere città.
Tutti gli altri continuarono a dormire.
1. Ottimo articolo, complimenti!!
2. L’altra faccia positiva della medaglia, eccola arriva!
“Lunedì scorso, come tanti altri colleghi del mio Ateneo, ho ricevuto una e-mail con la quale, un alto rappresentante del Ministero della Difesa ci invitava a usufruire del programma “Science For Peace and Security” promosso dalla NATO. Per essere più chiari, il Patto Atlantico ha varato un grande piano di finanziamenti destinato al reclutamento di ricercatori e docenti delle Università pubbliche per progetti di ricerca e iniziative che avessero per finalità “contribuire allo scopo della pace, alla sicurezza, stabilità e solidarietà tra le nazioni”. Al di là del lato ironico delle cose (un bando del genere ha la stessa credibilità di un progetto finanziato dalla Mafia per iniziative culturali e scientifiche contro narcotraffico e consumo di stupefacenti), il fatto che la NATO stia reclutando studiosi non solo nel settore ingegneristico, ma in quello delle Scienze politiche sociali è un fattore molto indicativo. Il tutto avviene nel bel mezzo delle colossali esercitazioni militari in Sardegna che coinvolgono 10 mila soldati di 23 Paesi della NATO e in una settimana in cui le Forze Armate hanno promosso, negli spazi del più grande gruppo editoriale sardo, un grande Convegno pro NATO al quale i nostri media hanno dato piena e capillare copertura. Ciliegina sulla torta, oggi, alla Fiera di Cagliari parte il “Join Stars Village”, un vero e proprio “Villaggio della guerra” grazie al quale “grandi e piccini” (il virgolettato è di un articolo “L’Unione Sarda” di oggi) potranno prendere familiarità con il nostro fantastico apparato bellico.
Questo salto di qualità egemonico, con cui si cerca di mobilitare e centralizzare l’attività degli intellettuali a sostegno del disegno strategico della NATO, cosa ci dice? Tra le tante indicazioni, forse, al fondo si può leggere la rilevazione di un problema: nonostante il 99% delle forze politiche, dei giornali e delle televisioni siano state arruolate a sostegno delle pretese di escalation militare dell’Occidente, la maggioranza dell’opinione pubblica non solo è contraria all’invio delle armi in Ucraina, ma vede con estrema preoccupazione se non proprio ostilità il nuovo quadro internazionale di contrapposizione tra Occidente e Oriente voluto dagli USA. Detto in altri termini, esiste una discrasia tra società politica e società civile e, come diceva Gramsci, quando ciò si verifica si può determinare una pericolosa “crisi di egemonia”, ossia, quella condizione di cortocircuito nel rapporto tra comando e obbedienza che spinge le classi dirigenti a monopolizzare tutti gli apparati incaricati di formare l’opinione pubblica per evitare una contraddizione tra popolo, ideologie e forze politiche tradizionali (dominanti).”, Gianni Fresu, 21 maggio 2023
Riferimento:
https://www.facebook.com/byebyeunclesam/?locale=it_IT
Ecco a voi l’Istituto LUCE in chiave moderna!
@ Ing. Alberro Medici
E’ peggio perchè l’Istituto Luce era unico e apparteneva a un solo stato , lo stato italiano sotto il regime fascista, qui invece siamo di fronte a un complesso industriale della censura composto da organizzazione private e statali degli USA e che ha le sue appendici operative anche nella UE ( UE non dimentichiamolo mai è creatura storica della CIA ), ecco spunti contro infornativi a riguardo!
1. “RAPPORTO SUL COMPLESSO INDUSTRIALE DELLA CENSURA: LE 50 PRINCIPALI ORGANIZZAZIONI DA CONOSCERE”, Nogeoingegneria, 14 maggio 2023
https://www.nogeoingegneria.com/ingegneria-sociale/rapporto-sul-complesso-industriale-della-censura-le-50-principali-organizzazioni-da-conoscere/
1A. . La versione in inglese:
“The Censorship-Industrial Complex: Top 50 Organizations To Know”, by Tyler Durden for ZeroHedge, May 11, 2023
On January 17, 1960, outgoing President and former Supreme Allied Commander Dwight D. Eisenhower gave one of the most consequential speeches in American history. Eisenhower for eight years had been a popular president, whose appeal drew upon a reputation as a person of great personal fortitude, who’d guided the United States to victory in an existential fight for survival in World War II. Nonetheless, as he prepared to vacate the Oval Office for handsome young John F. Kennedy, he warned the country it was now at the mercy of a power eve he could not overcome.
Until World War II, America had no permanent arms manufacturing industry. Now it did, and this new sector, Eisenhower said, was building up around itself a cultural, financial, and political support system accruing enormous power. This “conjunction of an immense military establishment and a large arms industry is new in the American experience,” he said, adding:
In the councils of government, we must guard against the acquisition of unwarranted influence, whether sought or unsought, by the military-industrial complex. The potential for the disastrous rise of misplaced power exists and will persist.
We must never let the weight of this combination endanger our liberties or democratic processes… Only an alert and knowledgeable citizenry can compel the proper meshing of the huge industrial and military machinery of defense with our peaceful methods and goals, so that security and liberty may prosper together.
This was the direst of warnings, but the address has tended in the popular press to be ignored. After sixty-plus years, most of America – including most of the American left, which traditionally focused the most on this issue – has lost its fear that our arms industry might conquer democracy from within.
Now, however, we’ve unfortunately found cause to reconsider Eisenhower’s warning.
While the civilian population only in recent years began haggling over “de-platforming” incidents involving figures like Alex Jones and Milo Yiannopoulos, government agencies had already long been advancing a new theory of international conflict, in which the informational landscape is more importantly understood as a battlefield than a forum for exchanging ideas. In this view, “spammy” ads, “junk” news, and the sharing of work from “disinformation agents” like Jones aren’t inevitable features of a free Internet, but sorties in a new form of conflict called “hybrid warfare.”
In 1996, just the Internet was becoming part of daily life in America, the U.S. Army published “Field Manual 100-6,” which spoke of “an expanding information domain termed the Global Information Environment” that contains “information processes and systems that are beyond the direct influence of the military.” Military commanders needed to understand that “information dominance” in the “GIE” would henceforth be a crucial element for “operating effectively.”
You’ll often see it implied that “information operations” are only practiced by America’s enemies, because only America’s enemies are low enough, and deprived enough of real firepower, to require the use of such tactics, needing as they do to “overcome military limitations.” We rarely hear about America’s own lengthy history with “active measures” and “information operations,” but popular media gives us space to read about the desperate tactics of the Asiatic enemy, perennially described as something like an incurable trans-continental golf cheat.
Indeed, part of the new mania surrounding “hybrid warfare” is the idea that while the American human being is accustomed to living in clear states of “war” or “peace,” the Russian, Chinese, or Iranian citizen is born into a state of constant conflict, where war is always ongoing, whether declared or not. In the face of such adversaries, America’s “open” information landscape is little more than military weakness.
In March of 2017, in a hearing of the House Armed Services Committee on hybrid war, chairman Mac Thornberry opened the session with ominous remarks, suggesting that in the wider context of history, an America built on constitutional principles of decentralized power might have been badly designed:
Americans are used to thinking of a binary state of either war or peace. That is the way our organizations, doctrine, and approaches are geared. Other countries, including Russia, China, and Iran, use a wider array of centrally controlled, or at least centrally directed, instruments of national power and influence to achieve their objectives…
Whether it is contributing to foreign political parties, targeted assassinations of opponents, infiltrating non-uniformed personnel such as the little green men, traditional media and social media, influence operations, or cyber-connected activity, all of these tactics and more are used to advance their national interests and most often to damage American national interests…
The historical records suggest that hybrid warfare in one form or another may well be the norm for human conflict, rather than the exception.
Around that same time, i.e. shortly after the election of Donald Trump, it was becoming gospel among the future leaders of the “Censorship-Industrial Complex” that interference by “malign foreign threat actors” and the vicissitudes of Western domestic politics must be linked. Everything, from John Podesta’s emails to Trump’s Rust Belt primary victories to Brexit, were to be understood first and foremost as hybrid war events.
This is why the Trump-Russia scandal in the United States will likely be remembered as a crucial moment in 21st-century history, even though the investigation superficially ended a non-story, fake news in itself. What the Mueller investigation didn’t accomplish in ousting Trump from office, it did accomplish in birthing a vast new public-private bureaucracy devoted to stopping “mis-, dis-, and malinformation,” while smoothing public acquiescence to the emergence of a spate of new government agencies with “information warfare” missions.
The “Censorship-Industrial Complex” is just the Military-Industrial Complex reborn for the “hybrid warfare” age.
Much like the war industry, pleased to call itself the “defense” sector, the “anti-disinformation” complex markets itself as merely defensive, designed to fend off the hostile attacks of foreign cyber-adversaries who unlike us have “military limitations.” The CIC, however, is neither wholly about defense, nor even mostly focused on foreign “disinformation.” It’s become instead a relentless, unified messaging system aimed primarily at domestic populations, who are told that political discord at home aids the enemy’s undeclared hybrid assault on democracy.
Proseguimento:
https://WWW.ZEROHEDGE.COM/POLITICAL/CENSORSHIP-INDUSTRIAL-COMPLEX-TOP-50-ORGANIZATIONS-KNOW
Breve commento.
Il Grande Fratello che censura il pensiero non conforme.
Conoscere il tuo nemico per combatterlo meglio!!
Aggiornamento integrativo.
“IL COMPLESSO INDUSTRIALE DELLA CENSURA”, Nogeoingegneria, 23 maggio 2023
Guida per addetti ai lavori all’”antidisinformazione”
Andrew Lowenthal ha trascorso più di due decenni a difendere i diritti digitali e ha assistito al passaggio di colleghi e organizzazioni partner a una missione opposta, chiamata “antidisinformazione”. Un resoconto dall’interno
Andrew Lowenthal
Sapevo che le cose andavano male nel mio mondo, ma la verità si è rivelata molto peggiore di quanto potessi immaginare.
Mi chiamo Andrew Lowenthal. Sono un australiano progressista che per quasi 18 anni è stato direttore esecutivo di EngageMedia, una ONG con sede in Asia che si occupa di diritti umani online, libertà di espressione e tecnologia aperta. Nel mio curriculum figurano anche borse di studio presso il Berkman Klein Center di Harvard e l’Open Documentary Lab del MIT. Per la maggior parte della mia carriera, ho creduto fermamente nel lavoro che stavo svolgendo, che ritenevo riguardasse la protezione e l’espansione dei diritti e delle libertà digitali. Negli ultimi anni, tuttavia, ho assistito con disperazione all’inizio di un cambiamento drammatico. Di punto in bianco, organizzazioni e colleghi con cui avevo lavorato per anni hanno iniziato a limitare la libertà di espressione e a spostare l’attenzione su un nuovo settore: la lotta alla “disinformazione”.
Molto prima dei TwitterFiles e prima di rispondere a un appello di Racket per aiutare i freelance a spegnere la macchina della propaganda mainstream, temevo che la “anti-disinformazione” sarebbe degenerata in censura. I membri del team di EngageMedia in Myanmar, Indonesia, India o Filippine hanno notato con preoccupazione che le élite occidentali vogliono dare ai governi più potere per decidere cosa può essere diffuso online. Questo è l’opposto di ciò che EngageMedia ha fatto…
Prima che il Racket Project mi assumesse per rintracciare le organizzazioni di anti-disinformazione e i loro finanziatori, pensavo di avere un’idea precisa di quanto fosse grande questa industria. Dopo tutto, mi sono occupato di diritti digitali per due decenni e ho assistito in prima persona alla rapida crescita delle iniziative contro la disinformazione. Conoscevo molte delle organizzazioni chiave e i loro leader. EngageMedia stessa aveva partecipato a progetti contro la disinformazione.
Molti lupi tra le pecore
Quando ho potuto consultare i dati di TwitterFiles, mi sono reso conto che l’industria della disinformazione è molto più grande e ha molta più influenza di quanto avessi immaginato in precedenza. Finora abbiamo monitorato quasi 400 organizzazioni in tutto il mondo e siamo solo all’inizio. Alcune organizzazioni sono serie. La disinformazione esiste. Ma ci sono molti lupi tra le pecore.
Ho sottovalutato la quantità di denaro che i governi e i privati versano ai think tank, alle istituzioni accademiche e alle ONG (che si occupano di fact-checking) che lavorano per combattere la disinformazione. Stiamo ancora facendo i calcoli, ma probabilmente si tratta di centinaia di milioni di dollari all’anno. Probabilmente sono tuttora naif: l’azienda privata di sicurezza e tecnologia Peraton ha ricevuto un contratto da un miliardo di dollari dal Pentagono.
In particolare, non ero a conoscenza dell’enorme influenza di istituzioni come l’Atlantic Council, l’Aspen Institute, il Center for European Policy Analysis, nonché di società di consulenza come Public Good Projects, Newsguard, Graphika, Clemson’s Media Forensics Hub e altre.
Ancora più inquietante è stata la quantità di denaro militare e dei servizi segreti coinvolti, lo stretto legame tra i gruppi e l’interferenza con la società civile. Graphika, ad esempio, ha ricevuto una sovvenzione di tre milioni di dollari dal Dipartimento della Difesa, oltre a finanziamenti dalla Marina e dall’Aeronautica statunitensi. Il Consiglio Atlantico con il Digital Forensics Lab riceve fondi dall’Esercito e dalla Marina statunitensi, da Blackstone, Raytheon, Lockheed, dal Centro di eccellenza STRATCOM della NATO e da altri.
Abbiamo a lungo distinto tra “civile” e “militare”. Ma nella “società civile” c’è tutta una serie di gruppi finanziati dai militari che si fondono e si confondono con quelli che lavorano per i diritti umani e le libertà civili. Graphika lavora anche per Amnesty International e altri attivisti per i diritti umani. Come sono compatibili queste cose? Che cos’è questa deriva morale?
La certificazione garantisce il controllo delle organizzazioni di fact-checking
upg. Le ONG che vogliono ottenere fondi per svolgere il compito di fact-checking devono essere certificate dal Poynter Institute. L’International Fact-Checking Network (IFCN), con sede presso il Poynter Institute, dal 2015 certifica le organizzazioni di fact-checking nei Paesi occidentali, tra cui ad esempio correctiv.org in Germania, “Maldita” in Spagna, “Pagella Politica” e “Facta” in Italia, “Full Fact” nel Regno Unito o “Agence France-Press” in Francia. Le organizzazioni di fact-checking hanno bisogno di un certificato dell’IFCN anche per ottenere lucrosi contratti da Facebook o Google.
Il Poynter Institute/IFCN stabilisce che la determinazione delle Fake News è in gran parte “basata su informazioni ufficiali”. Questo organismo di certificazione è finanziato, tra gli altri, da
il National Endowment for Democracy (NED), finanziato dal governo statunitense;
la Fondazione Luminate – Omidyar Network;
la Fondazione Bill & Melinda Gates
la Fondazione George Soros per Open Society Foundation
l’iniziativa Google News;
Facebook.
Proseguimento con riferimenti:
https://www.nogeoingegneria.com/ingegneria-sociale/il-complesso-industriale-della-censura/
@ Ing. Alberro Medici
Seconda parte precedente post.
“Le prossime limitazioni nell’uso informativo su internet”
di Patrizio Ricci per Vietato Parlare
16 Maggio 2023
LA CENSURA DI INTERNET: DIGITAL SERVICES ACT: Il Digital Services Act (https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32022R2065) è il pacchetto di leggi proposto il 15 dicembre del 2020 dal vicepresidente della commissione europea e dal commissario del mercato interno, ed è stata approvata il 5 luglio 2022 (https://www.agendadigitale.eu/mercati-digitali/digital-services-act-cose-e-cosa-prevede-la-legge-europea-sui-servizi-digitali/). Si tratta di una legge che a partire dal 2024 introdurrà la censura in rete a livello europeo.
1) LA LEGGE
Il Digital Services Act si concentra principalmente sui contenuti online, definendo le responsabilità (articolo 41) dei fornitori di servizi digitali e le prassi per la moderazione dei contenuti (https://www.medialaws.eu/free-flow-of-information-il-contrasto-alla-disinformazione-in-tempi-di-guerra/) (articolo 14, 15, 34, 35, 42) che vengono pubblicati su di essi.
Qui di seguito una lista degli articoli più importanti:
Articolo 34 (p.64) → I gestori devono effettuare una valutazione dei rischi e stilare la presenza di contenuti che possono avere “effetti negativi” sui processi elettorali e la sicurezza pubblica.
Articolo 35 e 38 (p.65 e p.69) → I gestori devono attenuare i rischi individuati modificando gli algoritmi di moderazione, cancellando i contenuti di “incitamento all’odio” e attraverso misure di sensibilizzazione.
Articolo 36 (p.66) → Durante i periodi di crisi e di emergenza la commissione UE può imporre ai gestori dei servizi applicare ulteriori misure per impedire gli “effetti negativi”dell’art. 34.
Articolo 37 (p.67) → I gestori devono dare i dati degli utenti ad organizzazioni indipendentiper “revisioni indipendenti” sul loro operato.
Articolo 40 (p.70) → La commissione europea ha accesso ai dati relativi agli utenti su internet per monitorare il rispetto del regolamento da parte dei gestori, per individuare i rischi di cui sopra.
Articolo 45 (p.76) → I gestori possono stabilire insieme alla commissione europea eventualicodici di condotta, cioè le regole per ammettere i contenuti online e l’accesso alle piattaforme.
Articolo 48 (p.76) → I gestori assieme alla commissione UE possono decidere insieme di introdurre uno stato di eccezione (protocollo di crisi) dove possono fare quel che vogliono e non rispettare il regolamento.
3) PIATTAFORME IMPATTATE
L’UE ha introdotto questa legge con la scusa di rendere la pubblicità meno invasiva, tutelare la privacy degli utenti (https://digital-strategy.ec.europa.eu/it/policies/digital-services-act-package) e favorire la parità tra le imprese, ma si tratta solo dell’ennesima trovata per ammorbidire la trappola del controllo, dal momento che questa legge non fa altro che andare a censurare (https://www.agendadigitale.eu/mercati-digitali/digital-services-act-le-norme-da-tenere-docchio-ecco-limpatto-sulla-nostra-vita-online/) tutti coloro che possono dare fastidio con la scusa dell’incitamento all’odio. In seguito una lista delle piattaforme che potrebbero risentirne.
Provider di servizi di hosting: le piattaforme (https://www.hdblog.it/sicurezza/articoli/n569146/dsa-commissione-ue-19-piattaforme/) come i social network, i forum, i blog, etc.
– Motori di ricerca: Google, Yahoo, Duckduckgo, etc. A tal punto consiglio di usare un metamotore di ricerca come Searx (https://t.me/dereinzigeitalia/252).
– Marketplace online: Amazon, eBay, Airbnb, AliExpress, etc.
– App store: Apple App Store, Google Play Store, Huawei App Gallery.
– Servizi di messaggistica istantanea: Whatsapp, Messenger, Telegram, etc.
– Piattaforme di video sharing: YouTube, Vimeo, TikTok, etc.
Proseguimento:
https://www.vietatoparlare.it/le-prossime-limitazioni-nelluso-informativo-su-internet/
Breve commento
Potete ingannare tutti per qualche tempo e qualcuno per sempre, ma non potete ingannare tutti per sempre.“ , Abraham Lincoln.