Ci sono alcune immagini, alcune scene che rimangono impresse, indelebili, e anche col passare del tempo la loro forza non accenna ad attenuarsi.

Da bambino mi colpì molto un documentario in cui veniva presentato un esperimento crudele: una scimmietta veniva separata dalla madre e messa in una gabbia da sola, in cui non c’era nulla tranne due specie di “sostitute madri“: due specie di tubi, uno ricoperto di una specie di panno, che ricordava forse alla piccola vittima il contatto del pelo della mamma; l‘altro, metallico, con un biberon con del latte caldo, sempre disponibile e pronto all’uso. La povera vittima di questo esperimento, terrorizzata, stava praticamente tutto il tempo abbracciata al tubo con la “peluria“, e solo per brevi momenti andava ad alimentarsi presso l’altro, per tornare, terrorizzata, di corsa al primo tubo, che per lei evidentemente era un ricordo di mamma.

L’osservazione della voce fuori campo faceva notare come il contatto fisico fosse più importante del cibo stesso, e suggeriva come in effetti questa caratteristica potesse essere comune a tutti i mammiferi, se non a tutti gli esseri viventi.

Come non osservare la crudeltà di chi, per scoprire cose che potrebbero essere tranquillamente intuite, non si cura della sofferenza di altri esseri viventi?

E se anche noi fossimo…

 le cavie di un immenso, globale esperimento finalizzato a studiare gli effetti di una separazione prolungata?