Se avete ascoltato il pastore americano Mark Gungor (raccontato in questo post), non potrete fare a meno di condividere una delle osservazioni più intelligenti che lui fa, cioè come il messaggio dominante di tutto l’approccio psicologico moderno sia concentrato sul sè, sull’autorealizzazione, sulla libera espressione dei propri sentimenti, come se la principale, se non l’unica, fonte di tutti i nostri problemi, malesseri, depressioni, ecc. fosse una sorta di repressione dei nostri bisogni più intimi e profondi. E se questa è la causa, quale soluzione migliore, se non quella di dare libera espressione del sè, dei propri bisogni, dei propri desideri?
Scrivevo nel post citato:
Una perla (controcorrente rispetto al pensiero dominante): quando dice: “Be nice” (siate carini, gentili), Mark fa notare come il comandamento imperante, di questi tempi, sia quello di dare libero sfogo ai propri sentimenti: quello che uno sente è assoluto, non bisogna nascondere nulla, essere espliciti, essere “veri”. Ma chi l’ha detto? Chi l’ha detto che le emozioni devono essere il faro della nostra vita, la bussola che guida ogni nostra singola azione quotidiana? Primo, molte volte se non freniamo la nostra lingua rischiamo di ferire e creare una pista di negatività: molto meglio trattenersi, aspettare che passi (che magari bastano 5 minuti), e sorridere anche quando non se ne ha voglia. Secondo, se si seguisse sempre e solo il proprio istinto, la propria voglia del momento, non si costruirebbero tante abilità e tanti risultati che richiedono applicazione, costanza, abnegazione. Pensate ad un musicista: quante ore passate a ripassare le scale e il solfeggio: credete che ne avesse voglia? Che provasse desiderio a farlo? No, ma, in vista di un risultato desiderato, si mette da parte il “sentimento” contingente, ci si applica, e si cresce. Anaogo discorso per chi studia, per gli sportivi, ecc. Oggigiorno, al contrario, sembra che il “sentire” debba essere la guida della nostra vita.
E quindi una mamma lascia la famiglia perchè “deve realizzarsi“: sentirsi libera di fare quello che vuole, altrimenti non sarà mai felice. Causando dolore e desolazione intorno a sè. Un giovane non si impegna in una relazione perchè “deve realizzarsi“, ed ogni impegno viene visto come un vincolo, un limite; un altro non rinuncia neanche morto ai “suoi spazi“, come se fossero l’unica occasione per “realizzarsi“.
Peccato che poi, alla prova dei fatti, questo atteggiamento conduca invece all’esatto contrario: dolore, solitudine, depressione.
Io credo che, una volta compresa l’unicità del tutto, a qualunque livello, l’atteggiamento migliore per vivere bene sia quello di condividere, stare insieme, e scambiarsi atti di gentilezza gratuiti, anche così, a casaccio, solo per il piacere di farlo. Perchè non esiste bene individuale: il bene, o è comune, o non è.
Una guida spirituale molto in voga dalle nostre parti tiene corsi in cui insegna agli adulti a riscoprire sè stessi, tirare fuori rospi sepolti nel passato, superare blocchi: tutto molto bello, peccato che in molti casi il tutto si concluda con scelte che mettono in crisi decisioni già fatte, e molte sono le coppie che vanno in crisi. Per questo gli ho scritto:
Sembra quasi che il focus esperienziale dei corsi sia di riportare l’attenzione all’IO, ai bisogni inespressi o peggio repressi, e che solo la riscoperta del proprio IO e dei propri bisogni possa essere la strada verso la piena realizzazione e verso la felicità. A me sembra esattamente il contrario:
- che non esista il cosiddetto “bene individiuale“, ma esista solo il bene comune,
- che la felicità non è se non è condivisa,
- e che solo rivolgere lo sguardo e le attenzioni all’altro sia la strada per la piena realizzazione della felicità umana.
Questo è quello che ci insegna la vita quando diventiamo genitori: all’inizio questo esserino che ha bisogno di tutto ci “costringe” (in maniera del tutto involontaria) ad occuparti di lui/lei; poi, col tempo, ti rendi conto che questa è la strada alla piena gioia e realizzazione.
Forse proprio per questo alle persone depresse ed in preda ad esaurimenti nervosi i terapeuti consigliano di prendersi cura di un cucciolo: nel processo di accudimento si esce dal proprio mondo limitato ed egoista dell’IO e ci si apre all’altro, in maniera naturale con un cucciolo, poi – si spera – in maniera continuativa per il resto della propria vita.
Non si tratta di “andare all’inferno” a causa di un peccato di egoismo: Dio non manda nessuno all’inferno.
Ma, molto più semplicemente e drammaticamente allo stesso tempo, si crea un inferno di vita qua, a causa delle nostre scelte incentrate su noi stessi!
non esiste bene individuale: il bene, o è comune, o non è
basta capire questo
grazie
Grazie a te Francesco! 🙂
Concetti simili visti da un’altra angolazione.
L’automobile va bene quando viaggia, non quando continuo a smontare e rimontare il motore e a revisionare ogni singolo pezzo.
Il pianista suona bene quando pensa alla musica, non quando si concentra sulle dita, le articolazioni e i tendini.
L’uomo, che è un animale relazionale, sta bene quando si relaziona, non quando continua a concentrarsi sulle proprie facoltà.
Cos’hanno in comune questi esempi?
Il primato del reale sul virtuale e il primato del fine sulla tecnica.
La paura è figlia dell’ignoranza.
L’ignoranza è figlia della menzogna.
La menzogna è figlia dell’egoismo.
L’egoismo è figlio del desiderio.
Questo mondo è fatto (creato) per i mentitori: questi vengono al mondo per confrontarsi con la Verità, che è stata “iniettata” in questo mondo nel giorno del Golgota (la croce cristiana è il simbolo di quanto è accaduto).
Come allora, adesso possiamo affrontare il nostro vero avversario:
– Conosci te stesso.
– Vinci te stesso.
– Agisci con forza.
– Resta nel tuo giusto posto.
– Muori senza perire.
😀
😀
😀