“Tommaso disse: “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non ci metto dentro il dito e non tocco con la mano il suo fianco, non ci crederò.”
Otto giorni dopo, i discepoli si trovavano di nuovo lì e, questa volta, c’era anche Tommaso. Le porte erano sbarrate, ma ecco che Gesù apparve in piedi, in mezzo a loro, “ pace a voi!” li salutò. Poi si rivolse a Tommaso e gli disse: “Metti pure il dito nelle mie mani e la tua mano nel mio fianco. Non essere più incredulo, ma credi!”
“Signore mio e Dio mio!” esclamò Tommaso. Allora Gesù gli disse: “tu credi perché mi hai visto. Beati quelli che crederanno senza aver visto!” Giovanni 20:25-29″
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Ricordo ancora quando a 8 anni, con madre Guglielmina, preparatrice della nostra prima comunione, ascoltai per la prima volta il brano del Vangelo in cui S.Tommaso veniva un pochino rimproverato da Gesù per non essersi fidato della testimonianza dei suoi amici. E la conseguente frase di Gesù mi era sembrata logica e coerente, quasi a rimarcare la giustizia di Dio: quelli che non hanno bisogno di prove, si sono in qualche modo guadagnati una ricompensa maggiore. Una visione un po’ commerciale, da “pizzicagnolo” di Dio, come se tutto fosse regolato da un bilanciamento attento di meriti e colpe. Ma forse c’era dell’altro?
Ascoltando numerose testimonianze di trapassati e ritornati, quelle che vengono chiamate NDE (Near-Death Esperience, esperienze di quasi morte) come scritto negli ultimi pezzi su queste pagine, ho potuto però dare una interpretazione più ampia di questo passaggio. Tutte le esperienze raccontano di una grandissima fatica a tornare indietro in questo mondo. Fra quelle che ho sentito solo una neo-mamma (con figlia di pochi mesi) chiese di poter tornare ad occuparsi della sua bimba (ah! le mamme sono uniche!), per lo più tutti gli altri, maschi e femmine, atei o credenti, giovani o vecchi, tutti quanti non soltanto non volevamo tornare, ma si opponevano anche con forza, con argomentazioni e discussioni. Divertente il racconto ad esempio di Howard Storm, che racconta per filo e per segno la sua lunga discussione, direi quasi il suo “arrampicarsi sugli specchi“, pur di non tornare.
- Lui: “non ci penso nemmeno a tornare indietro, adesso che ho conosciuto voi!”
- Loro: “Ci dispiace, ma devi tornare. La tua missione è lì, devi occuparti di tua moglie, delle tue figlie, delle persone intorno a te”
- “ma scusate non mi avete detto che voi ci assistete sempre? E ci assisterete sempre?
- Sì.
- E allora pensateci voi a loro: siete sicuramente molto più bravi di me, in questo.
- No, guarda non è così che funziona. Là devi tornare, a completare il tuo lavoro.
- Ma scusate, avete visto quanti errori ho fatto nella mia vita fono ad ora? Se torno giù, sicuramente ne farò altrettanti. Come potete permetterlo?
- Cerca di farne di diversi, di evitare quelli già fatti, perlomeno!
- Sentito ve lo dico per l’ultima volta: non POTETE mandarmi giù di nuovo.
- E perchè?
- Perchè dopo aver conosciuto voi, l’amore, la pace che si prova a stare con voi, per me ogni attimo sulla terra sarà una sofferenza insopportabile!
- Allora non hai ascoltato. Te l’abbiamo già detto tante volte: noi siamo sempre cn voi. Basta che ci chiamate o che ci pensiate, e noi siamo lì. E vi rispondiamo, se solo ci sapete ascoltare…
Il racconto, simpatico e divertente, non rende però bene l’angoscia che questi “ritornati” provano, anche a distanza di tempo. Tutti raccontano di non aver più paura della morte; molti la desiderano. Uno racconta che se in questo momento un malvivente lo minacciasse con una pistola alla tempia, non avrebbe alcun timore (anzi, sotto sotto forse ne sarebbe contento).
Ma forse la testimonianza più toccante riguardo a questa “depressione post-mortem” la fa Nancy Dynes, che racconta, nel video sotto, di come passò tre mesi tremendi, dopo il suo ritorno, piangendo tutte le notti e pregando Dio (lei che prima era atea) di riprenderla con sè. E di aver pensato più volte al suicidio, come scorciatoia per tornare là dove era stata, e da dove non poteva stare lontana. E di come ne sia venuta fuori solo con l’aiuto di amici, e la condivisione con altri trapassati come lei, e con lunghe meditazioni, preghiere e contemplazioni, e dandosi una discliplina giornaliera di comportamento. Una specie di percorso di recupero alla “alcolisti anonimi“, insomma. Alla fine, certo, ne è venuta fuori, ed ora ha trovato un suo equilibrio ed una sua missione nella vita; ma si capisce bene, dalle sue parole, che questo tipo di esperienze, che pure danno una svolta nella vita, e che pure sono utili per gli altri, per l’insegnamento che ne danno (scriverò un post sulle parti belle del discorso di Nancy: utilissimo!!!), possono tradursi in una sorta di incubo per quelli che le hanno subìte.
Conoscendo queste esperienze, mi era capitato di domandarmi quale fosse il motivo per cui questi fortunati le avevano avute, e molti altri no. Conoscendo il loro travaglio successivo al ritorno (la stragrande maggioranza ha avuto tentazioni di suicidio), forse si capisce che queste sono esperienze eccezionali, e che è bene rimangano tali.
“Beati quelli che credono senza avere veduto“: noi ci fidiamo di quello che ci viene detto, e ci prepariamo per il meglio che deve venire.
(PS: scriverò un pot sui bellissimi insegnamenti di Nacy, atea, che dopo la sua NDE è – ovviamente- diventata credente ed ha cambiato la sua vita, mettendo anche a frutto degli altri le cose che ha imparato. Chi conosce l’inglese può ascoltarla nel video sopra)
Ciao Alberto.
La tua mente ti gioca uno scherzetto dietro l’altro:
Perchè, nel vangelo odierno, “Gesù disse loro: «Liberàtelo e lasciàtelo andare»”?
Che cos’è la vita?
Che cos’è reale?
Che cos’è la morte?
Perchè la qualità della vita che raggiungi buttando almeno metà del vocabolario ti conduce all’immortalità?
Memento mori: vivi al settimo cielo!!!
Il lettore Roland, sicuramente un finissimo intellettuale, rivolge domande difficili e inquietanti che desidererei mi spiegasse con parole facili.
Egli cita parole del Vangelo di ieri 2 aprile, riferito alla risurrezione di Lazzaro. Il Cristo dice infatti:
“liberatelo e lasciatelo andare”. Un’ordine simbolico: Lazzaro dev’essere liberato dagli ostacoli, (le bende che avvolgevano il morto), per poter riprendere a vivere.
Che cos’è la vita, si chiede Roland. Se si riferisce alla vita terrena. si può rispondere che è un insieme di funzioni che fanno un organismo capace di conservarsi in attività, di svilupparsi, riprodursi e mettersi in relazione con l’ambiente e gli altri organismi. Questo vale per le piante e gli animali.
Per l’uomo occorre qualcosa in più, quello che i greci chiamavano Pneuma, indescrivibile con la ragione; lo Spirito Santo. Il logos: quella scintilla divina che ci permette di pensare di creare cose nuove e di metterci alla ricerca della vera Vita cioè quella ultraterrena del Regno di Dio.
La morte è la fine della vita terrena, cioè del periodo di studio, di analisi del regno del Demonio nel quale ci troviamo, affinchè possiamo sperimentare com`è il “soggiorno in un luogo in cui i Dettami di Dio non vengono rispettati. Dovremo infatti superare l’esame per poter accedere al Regno di Dio.
Dice poi Roland in latino: occorre morire nel mondo terreno per poter poi vivere nel settimo cielo.
Grazie Eliseo. Anch’io spesso non mi sento all’altezza di Roland…. troppo profondo!
Ma dai, Alberto! Mi gira la testa! Non capisco più se sto in alto o sto in basso! Mi potresti chiamare allora “sua bassezza”!!!
Per rispondere parzialmente anche al cortese Eliseo, non faccio l’intellettuale, bensì l’osservatore; di che cosa?
Dell’uomo!
In questo essere c’è tutto, anche l’ignoranza di quel che è.
Se le mie domande sono percepite anche come inquietanti, vuol dire che stanno titillando la vostra anima, che vorrebbe esprimersi più liberamente contro i condizionamenti ricevuti.
Suggerisco un esperimento che potete condurre personalmente: provate ad eliminare (anche temporaneamente) dal vostro vocabolario la coniugazione dei tempi dei verbi e mantenere solo il presente… ne vedrete delle belle!…come quella che il Regno di Dio è già qui!
Invece di esperimenti mirabolanti, ne propongo uno più semplice e fecondo.
Da un po’ di tempo termino il ringraziamento dopo la comunione recitando il Padre nostro al presente.
Se ci meditate un po’ scoprirete che in quel momento (tutt’uno con Gesù) è tutto vero, a cominciare dall’aggettivo iniziale “nostro” (mio e di Gesù).
Lode e ringraziamento: gli strumenti più semplici, efficaci e a portata di mano per cambiare la propria vita!
Grazie Andrea!
https://www.ingannati.it/2012/08/19/la-potenza-della-lode/
Buongiorno,
il Padre Nostro è al presente… e la vera comunione è il desco condiviso tra uomini come ottimamente rappresentato qui:
http://cultura.biografieonline.it/mangiatori-di-patate/
E’ anche interessante notare che se Gesù avanza un piccolo rimprovero a san Tommaso per non aver creduto ai fratelli testimoni (e alle sue profezie precedentemente espresse in modo chiaro “!il figlio dell’uomo dovrà … soffrire … morire…e risorgere …”) è anche vero che non considera affatto un male “voler toccare Dio”, tant’è che glielo permette.
Ma come dice l’articolo è proprio vero che toccare Dio significa esserne toccati e portare per sempre una ferita.
Per quei mistici che particolarmente hanno toccato il Signore, questa ferita è stata a volte visibile con il segno delle stimmate.