Pur avendo fatto atletica a livello agonistico per tanti anni, non guarderò nulla a queste olimpiadi. Pur avendo amato moltissimo questo sport, avendo passato 7-8 anni della mia vita a 6 allenamenti alla settimana, 50 settimane all’anno, no, non voglio sapere nulla di queste gare. Mi hanno stufato, mi hanno nauseato i troppi interessi economici che inquinano anche questo sport. La mia non vuole essere una denuncia generalizzata: so bene che ci sono tantissimi bravi atleti, onesti, meritevoli. ma la gestione della Fidal e della Iaaf è evidentemente in mano a manovratori che hanno anteposto interessi privati alla Verità.
L’inizio della delusione, per me, sono stati i mondiali 1987 a Roma, col (tristemente) famoso terzo posto di Giovanni Evangelisti con la misura truccata all’ultimo salto: uno schifo che non ho mai digerito. E, conoscendo Giovanni di persona, un campione naturale, un talento eccezionale, un ragazzo (allora) onesto e sincero, so benissimo che non c’entra nulla con quanto gli è “capitato“. Interessi superiori: una conta delle medaglie che a qualcuno doveva servire per chissà quali fini, e il trucco fu servito in diretta, in mondovisione, con una spudoratezza ed arroganza che non sfuggì a nessuno.
Quello che forse a qualcuno sfuggì fu il modo in cui riuscirono ad “infilare” nella finale dei 100 metri piani un altro campione italiano: Pierfrancesco Pavoni, erede naturale (anche fisionomicamente) di Pietro Mennea, che, nei mondiali tenuti nella “sua“Roma, “doveva” andare in finale. E così le due semifinali vennero preparate ad hoc: siccome passavano i primi 4 di ogni semifinale, si presero i 3 più forti, i 4 più scarsi, e si mise il nostro Pierfrancesco: un passaggio se non garantito quantomeno “agevolato“.
No, basta, da quella volta non mi interessai più di atletica: senza rimpianti, felice per quello che avevo fatto per un dato periodo della mia vita, ma era un capitolo che si chiudeva.
Per questo quando vengo a sapere di storie come quella di Alex, allenato da Sandro Donati che ho conosciuto, mi si riapre un po’ una ferita: so i sacrifici che gli sono costati, ed essere estromessi in questo modo ha tutto il sapore di ben più di una squalifica, ha il sapore di una vendetta, con cattiveria, con sadismo. Qualcuno dirà: ma si dopava, l’ha anche ammesso... sì, ma quella è acqua passata, è storia vecchia! E proprio perchè sapeva di avere gli occhi puntati addosso, per quale motivo avrebbe dovuto rifarlo? Si sottoponeva a controlli continui, e il risultato incriminato risale ad un test per il quale era già stato giudicato negativo; test ripetuto sullo stesso campione, a distanza di 90 giorni, in modalità anomala (senza rispettare l’anonimato, o il doppio cieco), e ti trovano tracce infinitesimali di una sostanza che non serviva a nulla…. e gli danno 8 anni di squalifica?
Accanimento.
Accanimento e vendetta, con buona dose di cattiveria. Scusate, ma se guardate il video linkato sotto, lo vedete questo ragazzo: è pulito, non se lo meritava. Per canto mio, rinnovo la mia convinzione di aver fatto bene a buttare la Tv, 10 anni fa. Prima, quando mi dicevano: “E i TG?” io rispondevo: “appunto, proprio per non vedere quella esposizione di bugie e di inganni che sono contento di non averla, la TV“. E qualcuno allora rincarava la dose: “Sì, vabbeh, ma almeno lo sport, ogni tanto? Almeno le olimpiadi?“. No, grazie. Proprio non le voglio vedere, queste gare truccate ed inquinate dal dio denaro, vero sterco del demonio per il quale tanta, troppa gente e disposta a vendere la propria madre, a tradire le persone oneste, a gettare nel fango la vita di un avversario.
Copio e incollo l’articolo di Gianluca Ferraris.
Alex Schwazer è innocente (ma non ho le prove)
Io so, ma non ho le prove.
Io so che Alex Schwazer è innocente.
Io so che Alex non prendeva più nemmeno un’aspirina, terrorizzato com’era da qualsiasi traccia di farmaci nel suo sangue.
Io so che Alex una notte ha urlato per un banale ascesso, perché l’oppiaceo con cui noi comuni mortali sediamo il nostro mal di denti lui non volle vederlo nemmeno da lontano.
Io so che Alex, dopo l’annuncio di voler tornare in attività, ha passato indenne oltre 40 controlli, la maggior parte dei quali a sorpresa.
Io so che non ha senso assumere «una lieve quantità» di testosterone il 31 dicembre senza esserti dopato né prima né dopo, e con il ritorno in pista lontano più di quattro mesi.
Io so che prelevare un campione di urina l’unico giorno in cui i laboratori dell’antidoping sono chiusi (permettendo così a mani ignote di trattenere la provetta con sé per 24 ore) è quantomeno strano.
Io so che mancano alcuni documenti di viaggio della fialetta. E che quando questa ricompare in un laboratorio di Colonia, invece di un codice numerico che dovrebbe rendere anonimo l’atleta, sopra c’è scritto Racines, Italia. Maschio che gareggia su lunghe distanze, superiori a 3 km. A Racines ci sono 400 abitanti. E un solo marciatore.
Io so che il primo controllo su quella fialetta fu negativo.
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Io so che qualcuno, mesi dopo, suggerì al laboratorio una seconda analisi, che risultò lievemente positiva.
Io so che la Wada, l’agenzia mondiale antidoping che ha stanato Lance Armstrong e gli olimpionici russi, la più alta autorità del pianeta in materia, non ha partecipato ai controlli e alle analisi su Alex, interamente gestiti dalla Federazione internazionale di atletica.
Io so che i vertici vecchi e nuovi della Federazione internazionale di atletica sono stati a lungo chiacchierati per aver chiuso un occhio nei confronti dei tesserati russi, gli stessi che Alex e il suo coach Sandro Donati hanno contribuito a denunciare.
Io so che Donati è un mago delle tabelle di allenamento e un eroe della lotta al doping.
Io so che negli anni Novanta, quando Donati scoperchiò il cosiddetto sistema Epo, due degli atleti che allenava furono vittima di un caso di provette manipolate.
Io so che Alex, nonostante tre anni e mezzo di lontananza dalle piste, marciava ancora più veloce di tutti.
Io so che alla vigilia di una gara a La Coruna Donati ricevette pressioni perché Alex non infastidisse i marciatori cinesi candidati alla vittoria.
Io so che Alex in quella gara arrivò secondo, e che gli ispettori controllavano da vicino ogni suo passo per cogliere una qualsiasi irregolarità stilistica che lo avrebbe fatto squalificare.
Io so che l’allenatore dei cinesi è Sandro Damilano, fratello dell’ex marciatore Maurizio. E che prima della 50 chilometri di Roma, lo scorso maggio, qualcuno a lui vicino chiese a Donati di «lasciare vincere Tallent», l’atleta australiano che più aveva contestato il ritorno in pista di Alex.
Io so che Liu Hong, altra marciatrice cinese allenata da Damilano, dopo quella stessa gara fu trovata positiva all’higenamine, un vasodilatatore naturale, ma venne squalificata solo per un mese. Adesso lei è a Rio per gareggiare mentre Alex no.
Io so che subito dopo questa imbarazzante fila di coincidenze saltò fuori la presunta positività di Alex. Che però gli venne comunicata oltre un mese dopo, in piena preparazione preolimpica e con un margine davvero ristretto per organizzare una difesa tecnico-legale decente.
Io so che non assistevo a una simile solerzia investigativa, e a un simile tentativo di sobillare i media, dai tempi dell’incendio del Reichstag o dell’arresto di Lee Harvey Oswald. O per restare in ambito sportivo, da quel mattino cupo a Madonna di Campiglio che spezzò per sempre la carriera di Marco Pantani.
Io so che colpire Pantani e Schwazer, sportivi amati dal pubblico ma ragazzi fragili dentro, è facile. Troppo.
Io so che in molti avevano bisogno di punire in maniera esemplare chi ha avuto il coraggio di sfidare il sistema. Quello stesso sistema che poi si ripulisce la coscienza in favor di telecamera con il Refugee Team e i palloni regalati alle favelas.
Io so che Alex si è pagato da solo la preparazione, le divise, gli scarpini, il viaggio per Rio. Che ha finito i risparmi e che ha lavorato come cameriere per mantenersi gli allenamenti. Che dormiva in un tre stelle dietro al raccordo anulare e si faceva testare i tempi su una pista comunale, accanto a runner della domenica e anziani che portavano a passeggio il cane.
Io so che ha confessato i suoi errori del passato, e li ha pagati tutti.
Io so che si stava rialzando senza chiedere aiuti o riguardi, ma solo una seconda possibilità.
Io so che a Rio 2016 quella seconda possibilità è stata data ad atleti dal curriculum sportivo molto più «stupefacente» del suo.
Io so che nessuno di quelli che contano, dal Coni alla Fidal passando per i buonisti a gettone del mondo politico e degli editoriali qualunquisti, ha ancora speso una parola se non di difesa almeno di umana solidarietà per Alex.
Io so che Alex non ha la forza misurata per disperarsi restando saggio. Come non la ebbe Pantani.
Io so che a Rio 2016 Alex sarebbe arrivato sul podio nella 50 km e forse anche nella 20 km.
Io so che su quel podio Alex avrebbe pianto di gioia. Che sarebbe stato disposto a dimenticare.
Io so che invece oggi piange di rabbia in un bar fuori dal villaggio olimpico, come un emarginato. E che sarà condannato a ricordare.
Io so che qualcuno dovrebbe vergognarsi per aver rovinato una vita.
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Video: qui.
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NOTA del 25 11 2017:
A seguito della segnalazione di un lettore, mi sono scaricato (e lo ripropongo all’attenzione dei lettori) il belleissimo libro di Donati “Campioni senza valore” che, mi dicono, è introvabile in libreria.
Bellissimo.
Applausi a Donati.
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