Volentieri ricevo e ri-pubblico, link all’originale: http://www.dmi.unipg.it/mamone/sci-dem/nuocontri_3/covid-vac-suc.pdf
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Marco Mamone Capria
La campagna vaccinale anti-covid-19 sta avendo successo?
Riviste scientifiche e industrie farmaceutiche
Qual è stato l’effetto della campagna vaccinale in Italia?
Mortalità “covid-19” e per tutte le cause
Reazioni avverse segnalate e no
L’impatto delle vaccinazioni secondo le autorità sanitarie italiane
Per chi basa le sue informazioni sui principali media la domanda nel titolo sembra retorica: certo che sta avendo successo, non vedete che la principale preoccupazione del generale degli alpini e della NATO che coordina in Italia questa campagna è vaccinare sempre più persone ogni giorno, raggiungere le fasce d’età che ancora non sono state “coperte”, identificare i renitenti ecc.? Magari ipotizzando anche convenzioni con le località turistiche per quelli che non sono riusciti a farsi vaccinare nella città di residenza? L’ipotesi si è poi concretizzata il 9 giugno: «finalmente arriva l’ok del generale Figliuolo sui vaccini in vacanza». Insomma si cerca in tutti i modi di indurre i cittadini a vaccinarsi, indipendentemente da qualsiasi considerazione sull’opportunità di farlo per la collettività e per l’individuo. Certo, ne abbiamo di strada da fare per eguagliare gli Stati Uniti dal punto di vista delle tecniche di persuasione, dato lì che sono arrivati a regalare spinelli a chi si vaccina.
I principali media sembrano concepire la campagna vaccinale in corso solo in termini di efficienza del sistema e di nuovi “primati” raggiunti. Ecco per esempio una notizia del 5 giugno:
Morbosamente attenti e scandalizzati per un anno da minimi affollamenti verificatisi per ragioni di normale quotidianità, sono diventati adesso indulgenti e distratti verso le resse che si sono verificate per arrivare prima al vaccino, e che testimoniano di uno stato mentale collettivo che dovrebbe seriamente preoccupare chi abbia a cuore il benessere degli italiani.
In ogni caso, qualcosa che nelle principali testate, giornalistiche e televisive, non si troverà è una spiegazione di che cosa si intenda per “successo” delle vaccinazioni, tranne che nel senso sociologico di episodi come quello appena citato, e quali dati osservativi potrebbero confermarlo o smentirlo. In un intervento sanitario di proporzioni e caratteristiche inedite queste precisazioni sarebbero state doverose.
Il generale Figliuolo (gliene va dato merito) è stato chiaro. Il 14 aprile 2021, nell’inaugurare un nuovo centro vaccinale a Torino, aveva affermato:
«Dobbiamo pensare una cosa: mai nella storia dell’Uomo si era riusciti a produrre in così poco tempo un vaccino contro una terribile pandemia, ma soprattutto si è iniettato in pochissimo tempo decine di milioni di dosi di vaccini, senza saperne chiaramente l’esito se non quello sperimentale che ha portato il vaccino a essere approvato dalla comunità scientifica e dalle agenzie regolatorie.»
Qui il generale aveva detto una cosa parzialmente vera e una falsa.
Quella parzialmente vera è che non era mai accaduto che decine di milioni di dosi vaccinali fossero somministrate dopo una sperimentazione così breve (ma la storia delle vaccinazioni è piena di esempi di vaccinazioni di massa senza studi adeguati di medio-lungo termine sugli effetti – per alcuni «questo è normale, ma bisognava dirlo», per altri questo abuso ripetuto, di per sé, è sufficiente a giustificare l’“esitazione” delle persone informate e razionali verso ogni nuova vaccinazione di massa).
La parte falsa di quanto detto dal generale è che i vaccini anti-covid-19 siano stati approvati. Sono stati autorizzati in forma condizionale e provvisoria, per giunta senza che sussistesse nemmeno uno dei presupposti normativi necessari allo scopo – ma non approvati, e la differenza è importante. (Rimando al precedente articolo per i dettagli e altre informazioni).
Successo vaccinale
Partiamo da un esempio. La vaccinazione antitetanica ha successo se chi entra in contatto con il Clostridium tetani dopo la vaccinazione, non si ammala di tetano, o almeno rischia di ammalarsi con una probabilità molto minore e/o senza pericolo di vita. È chiaro che se l’antitetanica non protegge totalmente, se per un certo individuo la probabilità di un’esposizione al patogeno è molto bassa, e se ci sono significative reazioni avverse a breve/medio/lungo termine al tossoide o agli adiuvanti del vaccino, la questione dell’opportunità di vaccinarsi (e ancor più quella di vaccinare “tutti”) diventa complicata. Ma almeno che cosa voglia dire che l’antitetanica sia o no una vaccinazione “di successo” è abbastanza chiaro: si tratta della protezione da una malattia dell’individuo esposto a un certo patogeno dopo essersi vaccinato.
Il caso dei vaccini anti-covid-19 è diverso – e non solo per il principio alla base dei più utilizzati, e che suggerirebbe come termine più appropriato “trattamento genico” invece di “vaccino”.
La vaccinazione anti-covid-19 deve essere infatti valutata secondo la sua capacità di:
1) proteggere l’individuo vaccinato dal covid-19 sintomatico, nel senso di farlo ammalare, se esposto, con molto minore probabilità e in forma lieve;
2) impedire all’individuo vaccinato di trasmettere il covid-19, nel caso che ne sia colpito, o almeno di trasmetterne solo una forma lieve.
Ricordiamo che l’anno di arresti domiciliari per la maggioranza della popolazione italiana (ai quali, peraltro, non sembra che il Garante dei diritti delle persone private della libertà abbia prestato sufficiente attenzione) è stato giustificato dal governo in termini del bisogno di evitare un aumento “eccessivo” (vedi qui in che senso) dei ricoveri “covid-19” (in particolare nei reparti di terapia intensiva). Nel contesto attuale “forma lieve” significa: non necessitante ricovero quando trattata con le linee guida ministeriali – che si compendiano nell’ormai tristemente famoso binomio “tachipirina e vigile attesa”.
Le prove cliniche (incomplete: non secondo qualche critico, ma secondo le stesse agenzie regolatorie) che hanno permesso ai vaccini covid-19 di essere autorizzati in forma condizionale (ma, ripeto, non approvati: nessuno di essi lo è stato!) sono state designate per accertare solo la condizione 1) – e abbiamo visto nel precedente articolo in che senso limitato e fuorviante si può dire che l’abbiano fatto (si è finalmente accorto del problema, almeno in parte, anche Lancet). Inoltre, come vedremo, ci sono seri dubbi che, per chi sia stato vaccinato o abbia contratto naturalmente l’infezione, una nuova infezione, se si verifica, si manifesterebbe in forma più lieve.
D’altra parte le finalità della vaccinazione di massa (diminuire la pressione sul sistema ospedaliero) non sarebbero raggiunte senza la condizione 2) – che non è mai stata verificata.
Si potrebbe dire che la condizione 2) sia stata verificata successivamente all’autorizzazione, cioè in quell’enorme esperimento a cielo aperto (Figliuolo dixit) che è stata la vaccinazione di massa. Ma sarebbe un errore.
In effetti le autorità hanno mantenuto, nel 2021, sia le misure non mediche con cui era stata gestita l’emergenza “covid-19” durante il il 2020 (mascherine, distanziamento, limitazioni sugli spostamenti), sia le già citate misure mediche (o piuttosto: non-misure mediche). Che anche le autorità dubitassero della capacità dei vaccini di raggiungere gli obiettivi della campagna vaccinale, è testimoniato appunto dal fatto che non se la sono sentita di allentare le misure non mediche neppure un paio di settimane dopo l’inizio della vaccinazione.
Quindi ciò che si è potuto osservare durante i primi 5 mesi del 2021 è stata la sovrapposizione della vaccinazione di massa con:
– le precedenti misure;
– la tendenza già osservata nel 2020 (in assenza di vaccino) dell’evoluzione stagionale del covid-19 (su questo punto torneremo).
Insomma, l’effetto della vaccinazione considerata da sola non lo si è potuto osservare: non ce ne erano le condizioni. Sottolineo questo cruciale aspetto della questione, che dovrebbe essere evidente anche al più modesto osservatore della cronaca sanitaria italiana, perché giornalisti ed “esperti” sui principali media si ostinano a non riconoscerlo e a confondere l’opinione pubblica.
Verifiche
Le autorità sanitarie non se la sono sentita nemmeno di organizzare una verifica corretta dell’efficacia delle vaccinazioni. A tale scopo, infatti, sarebbe stato necessario confrontare nel tempo (diciamo durante i primi 5 mesi del 2021) un gruppo (o coorte) di vaccinati con un gruppo corrispondente (equivalente per età, stato di salute, sesso) di non vaccinati, e contare per ognuna delle due coorti:
– i casi di covid-19 sintomatico;
– i ricoveri ospedalieri e in particolare di terapia intensiva collegati al covid-19;
– la mortalità per tutte le cause.
Il terzo parametro può meravigliare: non sarebbe bastato limitarsi alla mortalità attribuita al covid-19? La risposta è no, ma richiede una spiegazione.
Come si sa, ogni volta che si verifica un sintomo grave, o addirittura un decesso, poche ore o pochi giorni dopo una vaccinazione, le autorità sanitarie e i loro consulenti, così soddisfatti di promuovere vaccini autorizzati sulla base di prove incomplete, si trasformano in metodologi severissimi, pronti ad ammonire che il fatto che un dato evento B segua temporalmente un evento A non significa che A sia causa di B. Hanno ragione: è in effetti un classico sofisma, detto dai logici medievali “post hoc, ergo propter hoc”. Purtroppo, come vedremo, è precisamente quello commesso dai fautori della campagna vaccinale quando le attribuiscono, sulla base di una mera corrispondenza temporale, il merito del declino attuale dei “casi” di covid-19. E come spiegato qui, sono sistematicamente caduti molto prima nello stesso sofisma anche quando si è trattato di attribuire al covid-19 i decessi. (Ma adesso che bisogna ridurre l’incidenza del covid-19 per ingrandire l’effetto dei vaccini, è in corso un cambiamento di criteri, come già visto alla fine dell’anno scorso).
Dire che non si è sicuri che una correlazione causale valga non è la stessa cosa che dirsi sicuri che non c’è correlazione causale. Quindi quando vediamo medici dirsi sicuri che la vaccinazione non è collegata al malore successivo di un loro paziente, e dirlo senza poter portare nessun esame ulteriore a conforto, allora siamo di fronte a un caso evidente di abuso della credulità popolare.
Cito un esempio (ma è solo uno dei tanti). Una donna di 65 anni ha ricevuto il vaccino Moderna nell’isola di Lipari alla fine di aprile e il giorno dopo è stata colpita da emorragia cerebrale. Non aveva segnalato particolari patologie. Ma i notiziari locali riferiscono immediatamente che «i medici escludono collegamenti con la vaccinazione, ipotizzando una possibile patologia congenita non segnalata». Come avranno fatto i medici ad esserne certi “preventivamente”? E come mai non avevano applicato la stessa regola “innocentista” per la stragrande maggioranza delle morti tranquillamente etichettate “covid-19”? In effetti in Italia alla fine del 2020 circa il 97% dei decessi “covid-19” era legato ad almeno una patologia preesistente (più spesso più d’una) – e qui stiamo citando dati ufficiali, non ipotesi.
Credere all’evidenza
Nemmeno i cittadini più ingenui pensano che il semplice ordine cronologico di due eventi stabilisca tra di essi una relazione causale. Il concetto di “coincidenza” è parte integrante del senso comune. Ciò che non vi rientra è che per credere in un nesso causale bisognerebbe prima verificare che qualcuno lo abbia dichiarato reale in una rivista scientifica “autorevole”.
Una persona in buona salute si vaccina e dopo pochi giorni, o a volte dopo poche ore, è colpita da emorragia cerebrale, trombosi, ictus, o infarto. Dato che le caratteristiche citate le attribuiscono a priori una bassissima probabilità di essere vittima di uno di questi incidenti, l’accaduto suggerisce che qualcosa di insolito abbia aumentato la sua probabilità di esserne vittima. La congettura che il fattore insolito sia stato proprio la vaccinazione è quindi almeno meritevole di considerazione. E se c’è un aumento della mortalità per tutte le cause (rispetto alla media degli ultimi anni) nella popolazione di cui quella persona fa parte e in cui è stata attivata una campagna per la vaccinazione in oggetto, è corretto considerare tale circostanza come un’indicazione che il vaccino, in maniera diretta o indiretta, sia implicato nell’incidente.
Oggi se si vuole stabilire l’attribuzione di un singolo decesso a un certo vaccino, ci si rifà all’algoritmo introdotto dall’OMS nel 2013, fatto su misura per evitare che tale attribuzione avvenga (cfr. il commento del pediatra indiano Jacob Pulyel; altri dettagli si possono trovare qui). In particolare, l’algoritmo permette di escludere il nesso causale se 1) esiste un fattore causale alternativo (quindi si esclude ogni multifattorialità!); 2) la reazione avversa avviene al di fuori di una certa finestra temporale (quindi si escludono gli effetti a medio/lungo termine!); 3) non c’è uno studio statistico che conferma il nesso causale e che sia stato pubblicato in una sede opportuna.
Qui mi limito al punto 3). È chiaro che uno studio statistico sul nesso di casualità tra vaccinazioni di un certo tipo e certe reazioni avverse richiede tempi lunghi e mezzi finanziari notevoli; e se nessuna rivista scientifica ad alta visibilità accetta di pubblicarlo, la scoperta resterà comunque ai margini del dibattito pubblico. Penso di dire un fatto noto solo a pochissimi ricordando che circa il 50% di tutte le prove cliniche non arriva ad essere pubblicato.
Riviste scientifiche e industrie farmaceutiche
Si può solo attribuire a uno straordinario grado di disinformazione, o a ipocrisia di chi da questo sistema profitta (in varie maniere), l’opinione che la mancanza di una “prova” di una congettura (nel senso di “prova” ora descritto) equivalga a una prova (nel senso ordinario del termine) della falsità della congettura.
Chiunque abbia analizzato i meccanismi dell’editoria accademica contemporanea sa che non è stato per esagerare che un direttore del British Medical Journal (per ben 13 anni) ha intitolato un suo articolo del 2005 con la seguente frase: «Le riviste mediche sono un’estensione del braccio commerciale delle compagnie farmaceutiche».
Un’estensione del braccio commerciale delle compagnie farmaceutiche.
E nel 2002 il direttore del dipartimento dei farmaci essenziali dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, Jonathan Quick, aveva dichiarato: «Le multinazionali del farmaco sono la maggiore forza politica ed economica nelle nostre società».
La maggiore forza politica ed economica delle nostre società.
Certo, può darsi che, nella loro profonda filantropia e rispetto per i diritti civili, dimostrata in tante circostanze, queste potenze politiche ed economiche si astengano dal manipolare i meccanismi decisionali delle nostre democrazie – compresi governi, parlamenti e agenzie regolatorie. Ma è fuori discussione che, data la qualità etica media delle classi dirigenti, se volessero, potrebbero.
Secondo me quegli scienziati che fingono di ignorare o, peggio, ignorano questi fatti fondamentali dell’attuale organizzazione della ricerca biomedica non meritano fiducia nemmeno quando trattano di questioni della loro specialità.
Che un risultato sia pubblicato o non pubblicato su una rivista ad alta visibilità non ha niente a che fare, di per sé, con la sua verità o falsità (non parliamo nemmeno della peer review, che può sembrare una garanzia solo a chi non sa che cos’è; ne ho trattato anche qui, per considerazioni simili si veda questo articolo). Basterebbe a dimostrarlo la regola imposta, ormai già da una trentina d’anni, agli autori di articoli scientifici di presentare una dichiarazione sui propri eventuali conflitti di interesse.
Riflettiamo: perché mai si dovrebbe richiedere una tale “autocertificazione” (per quanto disperatamente insufficiente), se il fatto stesso della pubblicazione su quella rivista fosse una garanzia di attendibilità del contenuto dell’articolo? Ovviamente, con questa regola le riviste intendono mettere in guardia il lettore, e dargli un’opportunità in più per giudicare se gli autori di un articolo che hanno pubblicato non siano stati indotti a sopravvalutare o a sottovalutare (quando non a inventarsi di sana pianta) i propri dati.
È evidente che lo stesso problema si pone a proposito dei membri di commissioni tecnico-scientifiche e di agenzie regolatorie. Purtroppo questo sembra un concetto troppo difficile per la quasi totalità dei giornalisti che si occupano di medicina sui principali media. Per facilitare il loro svezzamento intellettuale, un articolo apparso sul BMJ il 27 maggio scorso, e intitolato: “Dichiarare interessi in competizione è un dovere per dottori, scienziati e politici” dovrebbe essere letto, incorniciato e appeso in tutti gli uffici di giornali e degli altri media che trattano di medicina – e anche, naturalmente, negli studi medici e nella sede del ministero della Salute.
Qual è stato l’effetto della campagna vaccinale in Italia?
Come ho sottolineato in vari articoli (per esempio qui un anno fa, e ultimamente qui) l’intera attività previsionale del Comitato Tecnico Scientifico (CTS) si è basata, con la decisiva consulenza della Fondazione Kessler, sulla rimozione di una delle poche cose che invece si può considerare sicura a proposito del complesso delle similinfluenze: la loro stagionalità (si vedano i grafici riprodotti qui).
A posteriori, doveva essere comunque evidente che le vaccinazioni non hanno avuto alcun merito nel declino dei “casi” di covid-19. Bastava guardare il grafico dell’evoluzione dei casi (da me già riportato qui e ricavato dal sito del Sole24Ore) e credere ai propri occhi:
Nel riprodurlo qui la mia sola aggiunta è la linea verticale blu, in corrispondenza con l’inizio della campagna vaccinale (il 31 dicembre 2020). È del tutto evidente che i “casi totali” erano già decisamente in discesa – e non solo si vede che dopo l’inizio della campagna vaccinale tale tendenza non si è accentuata, ma che si è invertita. La «curva dei contagi» – per usare il termine abusivo comunemente utilizzato dai giornalisti – risale e riprende nettamente la discesa solo alla fine di marzo.
Se si confronta, sul lato sinistro dello stesso grafico, questo andamento con quello corrispondente (1o marzo-1o giugno) durante la “prima ondata”, si vede la stessa stagionalità del fenomeno epidemiologico, e la principale differenza (a parte l’entità del fenomeno, nettamente maggiore nella “seconda ondata”) è che nella “seconda ondata” la discesa era in corso ben prima di questo periodo: il solo effetto della campagna vaccinale è stato – ripetiamolo – il rallentamento della decrescita.
Metto tra virgolette “prima ondata”, “seconda ondata” ecc., perché il termine corretto sarebbe “prima epidemia”, “seconda epidemia” ecc., oppure, meglio ancora, prima e seconda “stagione”. Parlare di “ondate” presuppone che, al contrario delle similinfluenze (e in particolare della stessa influenza in senso proprio), il covid-19 sia una malattia univoca rispetto alla quale la popolazione colpita può avere “ricadute”. E quando l’evidenza mostra che non circola lo stesso virus ipotizzato, invece di prenderne atto, si indora la pillola chiamando i nuovi virus “varianti” del precedente. Ma allora, se si pensa alle “varianti” in analogia con l’influenza, si dovrà pur ricordare che ogni anno bisogna introdurre un nuovo vaccino antinfluenzale. Ebbene: che ragione ci sarebbe per pensare che i vaccini anti-covid-19, sviluppati sulla base della prima versione del SARS-CoV-2, siano efficaci anche contro le “varianti”?
Una seconda domanda, collegata, è: che ragione c’è di pensare che il vaccino proteggerà anche a 6 mesi di distanza – cioè quando sarebbe veramente utile ammesso e non concesso che fosse genuinamente efficace?
Consideriamo coloro i quali si sono vaccinati tra marzo e maggio, cioè la stragrande maggioranza (come mostra il grafico seguente). Perché lo hanno fatto, se si avvicinava il periodo in cui nel 2020, senza vaccini, il covid-19 era declinato inesorabilmente? Certamente non per prepararsi all’eventuale stagione autunnale, in quanto nel caso di un ritorno di un coronavirus analogo al SARS-CoV-2 una vaccinazione effettuata nella primavera del 2021 non darebbe garanzie di protezione.
Due scoperte
Ma ci sono due aspetti che rendono il quadro ancora peggiore.
a) La vaccinazione può aumentare il rischio di covid-19 grave
Se il contagio, da parte di una “variante”, avviene in presenza di anticorpi o relativi all’infezione naturale o indotti dal vaccino, potrebbe verificarsi l’effetto ADE, cioè l’“intensificazione dell’infezione provocata dagli anticorpi”: cioè una forma più grave della malattia. Un cardiologo, Fabrizio Salvucci, ha citato l’ADE come una delle ipotesi (oltre a recidive e a varianti) con cui spiegare ciò che chiama il «paradosso di Bolzano»:
«Laddove la campagna vaccinale fosse più avanti ci si aspettava una minore recrudescenza dei casi di malattia Covid e viceversa. Di fatto sta accadendo il contrario. Ma in tutta Italia, non solo a Bolzano. Bolzano in particolar modo perché è quella dove la campagna vaccinale è stata più intensa e, allo stesso tempo, abbiamo la provincia con il maggior numero di attualmente positivi per unità di popolazione. Purtroppo, non è una novità, ci sono altri casi, il più clamoroso è quello di Gibilterra dove in un anno sono stati segnalati 6 decessi e, in 30 giorni di vaccinazione, 80 decessi.»
In che consiste l’ADE?
«Si tratta di un’amplificazione infiammatoria della risposta derivata dagli anticorpi. […] Bisogna essere certi di non aver avuto un contatto con il virus e di non avere anticorpi, altrimenti si rischia il fenomeno ADE. […] Qualche giorno fa, da Perugia, un’infermiera che ho conosciuto mi stava dicendo che stava vivendo una situazione drammatica. Tantissime persone venivano ricoverate, stavano molto male e molte di queste erano vaccinate. Lei era sbalordita da questo fatto e mi chiedeva: “Dottore ma cosa sta succedendo?”. Beh, io non lo so, ma la prima cosa che mi è venuta in mente è proprio il fenomeno ADE.»
Un altro dottore, Barbara Balanzoni, ha pubblicato un video in cui dà riferimenti testuali precisi che mostrano che l’ADE è un effetto noto da almeno una ventina d’anni (nel caso della malattia Dengue). Per evitare questa iperreazione scatenata da anticorpi pre-esistenti bisognerebbe effettuare, prima di decidere se vaccinarsi o no, un esame sierologico. Il professor Antonino Mazzone ne aveva segnalato la necessità al CTS già da mesi, ma dal ministero della Salute non è mai venuta alcuna indicazione in tal senso.
Il 3 giugno 2021 è apparso un rapporto del Ministero della Salute e dell’Istituto Superiore di Sanità, in cui si tratta dell’“Impatto della vaccinazione COVID-19 sul rischio di infezione da SARS-CoV-2 e successivo ricovero e decesso in Italia (27.12.2020-03.05.2021)”. In esso si legge che 855.993 persone che avevano ricevuto una precedente diagnosi di covid-19 hanno, ciò nonostante, ricevuto almeno una dose di vaccino. Poiché lo scopo dello studio era valutare «il tasso di incidenza di diagnosi di infezione da SARS-CoV-2, di successivo ricovero, di ammissione in terapia intensiva e di decesso dopo la somministrazione della prima dose», non si capisce per quale ragione sostanziale sarebbero stati «esclusi tutti i soggetti che avevano una diagnosi di infezione SARS-CoV-2 con data precedente a quella della prima vaccinazione»: in fondo, se è stato considerato opportuno vaccinarli, nonostante una precedente diagnosi di covid-19, era doveroso studiare anche le conseguenze di questa scelta sanitaria.
Per quanto riguarda l’esame sierologico, in Italia abbiamo avuto un’incredibile presa di posizione contraria della dr. Kyriakoula Petropulacos, direttrice della «Cura della persona, salute e welfare» della Regione Emilia-Romagna, che ha emanato una comunicazione rivolta «Ai Direttori Sanitari, ai Direttori Dipartimenti Sanità Pubblica, ai Direttori Dipartimenti Cure Primarie, ai Direttori dei Servizi ICT delle Aziende Sanitarie della Regione Emilia-Romagna» in cui raccomanda:
«Non è opportuno effettuare test sierologici prima della vaccinazione per studiare eventuali infezioni pregresse non note, né per misurare il livello di anticorpi allo scopo di ottenere in-formazioni sulla base delle quali decidere la successiva strategia vaccinale. […]
Non è opportuno effettuare test sierologici dopo la vaccinazione per misurare il grado di protezione dalla infezione, dalla malattia o dalla malattia grave.»
E, dulcis in fundo, ha pure raccomandato di:
«[…] non fornire alcun risultato che contenga il valore di CT nel referto al fine di impedire misinterpretazioni da parte dei clinici e degli epidemiologi.»
In altre parole in Emilia Romagna si disattendono perfino le indicazioni dell’OMS, che aveva sottolineato l’importanza del numero dei cicli di amplificazione (Ct). È difficile dar torto a chi nell’operato di questi personaggi ravvisa indizi di qualcosa di molto diverso dalla preoccupazione per la salute (per non dire dei diritti) dei cittadini.
b) La proteina spike
I vaccini anti-covid-19 basati sulla tecnologia mRNA (o RNA messaggero) forniscono istruzioni per la sintesi della proteina spike che è il componente principale della capsula che contiene l’informazione virale del SARS-CoV-2 , e con cui il virus si aprirebbe il varco nelle cellule. La proteina spike sintetizzata stimolerebbe la produzione di anticorpi che impedirebbero al virus, in caso di infezione, di entrare nelle cellule e quindi di moltiplicarsi.
Andrebbe sempre sottolineato che l’apparente semplicità del processo come descritto in un linguaggio tecnico o semi-tecnico nasconde parecchie incognite. Quali e quante sono le cellule in cui la proteina spike viene sintetizzata sulla base delle istruzioni trasmesse con il vaccino? E quanto della patologia denominata covid-19, e in particolare delle sue forme più pericolose, dipende non dall’informazione virale, bensì proprio dalla proteina spike?
Oggi è ormai chiaro che la spike è una tossina, che sia nell’infezione naturale sia nella forma sintetizzata per mezzo del vaccino, può entrare nel circolo sanguigno, raggiungere cuore, cervello, bile e altre ghiandole, tra cui testicoli e ovaie, e provocare gravi conseguenze cardio-vascolari – è proprio questo alla base delle gravi reazioni avverse segnalate: trombosi, ictus, danni al sistema riproduttivo, disturbi del ciclo mestruale. Ovviamente questa scoperta fa nascere dubbi anche sulla sicurezza delle donazioni di sangue da persone vaccinate e l’allattamento da madri vaccinate (per non dire dei trapianti d’organo da individuo “positivo”).
Un gruppo internazionale di scienziati aveva fatto richiesta all’Agenzia del farmaco giapponese per prendere visione dei dati fornitile dalla Pfizer a proposito della biodistribuzione del vaccino. Uno di questi scienziati, il virologo e immunologo canadese Byram Bridle, che ha esaminato i dati così ottenuti, ha detto:
«Pensavamo che la proteina spike era grandiosa come bersaglio antigenico, non avevamo mai saputo che la proteina spike è di per sé una tossina e una proteina patogena. Così, vaccinando la gente abbiamo inoculato una tossina. […] È la prima volta [grazie ai documenti “giapponesi”] che gli scienziati sono stati ammessi a vedere dove questi vaccini a RNA messaggero vanno dopo la vaccinazione. È sicuro assumere che rimanga nel muscolo della spalla? In breve la risposta è: assolutamente no. È molto sconcertante.»
Quando la spike si lega ai recettori ACE2 (presenti anche nel cuore e nel cervello) delle piastrine e del rivestimento dei vasi sanguigni, può creare conglomerati di piastrine e quindi coaguli, da cui le trombosi «che stiamo vedendo in questi giorni»; oppure emorragie. Una ricercatrice del MIT ha definito «terrificanti» le implicazioni di questo studio. Nel dicembre 2020 un reumatologo pediatrico, J. Patrick Whelan, aveva già avvertito la FDA che gli studi presentati dalle ditte farmaceutiche per l’autorizzazione dei vaccini anti-covid-19 non prendevano in considerazione la possibilità di danni microvascolari a lungo termine e anche permanenti della spike a fegato, cuore e cervello.
È chiaro che, alla luce di queste scoperte, raccomandare la vaccinazione anti-covid-19 ai bambini e ragazzi è non semplicemente irresponsabile, ma criminale. Quello che è stato chiesto al governo canadese, va rivolto anche a tutti gli altri, a partire da quello italiano: bloccare immediatamente la campagna vaccinale relativa a bambini e ragazzi.
Mortalità “covid-19” e per tutte le cause
Una ragione plausibile per l’insistenza a vaccinare tutti il prima possibile è per accreditare alle vaccinazioni un prevedibile effetto stagionale che non dipende da esse, e che, a quanto si può giudicare al momento, potrebbe esserne stato rallentato sia per i “casi” (come abbiamo visto) che per la mortalità. Vediamo infatti i dati sulla mortalità “covid-19” giornaliera in Italia, confrontando i periodi corrispondenti del 2020 e 2021 (fino al 27 maggio):
È evidente (e lo si può verificare numericamente scorrendo con il mouse sul grafico originale) che i decessi “covid-19” a partire da maggio, pur essendo in calo, mostrano una minore diminuzione rispetto all’anno precedente (…quando il vaccino, ripetiamolo ancora una volta, non c’era). Ecco una tabella in cui sono elencati alcuni di questi dati giornalieri sui decessi per maggio e giugno:
In più, mentre nel 2020 l’epidemia esordisce alla fine di febbraio, nel febbraio 2021, dopo due mesi di vaccinazioni a ritmo crescente combinate con le ben note misure restrittive, il numero di decessi “covid-19” non mostra alcun segnale di diminuzione, e questo spiega perché il confronto tra i due mesi di aprile, in cui questo anno si hanno valori minori, non è pertinente (in epidemiologia il fenomeno si chiama mietitura, o in inglese harvesting: in parole povere, non si muore due volte, cioè una mortalità anticipata, come quella nei primi due mesi del 2021, viene compensata da una diminuzione successiva). Si può confrontare il grafico precedente con quello della mortalità per tutte le cause negli ultra-65enni «basato sulla rilevazione in 20 città campione italiane»:
Anche qui si vede che il declino della mortalità alla fine del 2020 si inverte e poi si attenua in concomitanza con l’inizio della campagna vaccinale nel 2021.
Si potrebbe obiettare che la risalita dei casi e delle morti “covid-19”, per potersi attribuire alla campagna vaccinale anti-covid-19, si dovrebbe osservare anche in altri Paesi in cui si è avviata la campagna vaccinale. La si osserva?
Sì, questo è ciò che si è verificato, come ha mostrato, con grafici basati sui dati OMS, il dottor Gérard Delépine a proposito di:
Nepal, Tailandia, Cambogia, Mongolia, Colombia, Cile, Brasile, Emirati Arabi, Kuwait, Ungheria, Romania, Monaco, Israele e Gran Bretagna.
Il termine da lui usato per descrivere il fenomeno, «ecatombe post-vaccinale», non sembra affatto inappropriato, in quanto «in tutti i Paesi molto vaccinati la mortalità contabilizzata durante i due mesi post-vaccinali è maggiore o uguale di quella dell’anno 2020» – come in Italia.
Reazioni avverse segnalate e no
Quando si parla del bilancio costi-benefici a proposito dei vaccini è importante tener conto del fatto che, invece di promuovere una vigilanza vaccinale attiva (cioè intervistare/visitare periodicamente chi abbia accettato di farsi vaccinare), si preferisce ricorrere alla vigilanza passiva (cioè contare le eventuali segnalazioni spontanee di reazioni avverse da parte di medici di famiglia o ospedalieri, oppure dalle stesse persone vaccinate o dalle loro famiglie). Esaminiamo la seguente tabella che riporta i dati ufficiali sulle segnalazioni di reazioni avverse fino al 26 maggio 2021.
Innanzitutto bisogna osservare che il tasso di segnalazioni è calcolato rispetto alle dosi somministrate, non alle persone vaccinate che, con l’eccezione del Janssen, devono assumere 2 dosi e non solo una. Quindi le persone vaccinate al 30 maggio 2021 con una o due dosi non sono circa 32,5 milioni, ma circa i 2/3, cioè, precisamente: 21.760.578. Questo significa che il tasso di segnalazioni non per dose, ma per persona vaccinata, è una volta e mezza: non lo 0,2% (o 204 su 100.000) ma lo 0,3% (o 304 su 100.000).
In secondo luogo si vede che tra Astra-Zeneca e Pfizer hanno “stracciato” gli avversari per quanto riguarda la percentuale di reazioni avverse: al momento sta “vincendo” Astra-Zeneca, ma dato il vantaggio non eccessivo, non è ancora detta l’ultima parola.
Dovrebbero poi essere chiari due punti.
Da un lato, la buona volontà del personale sanitario a segnalare reazioni avverse è messa a dura prova non solo da un clima di minimizzazione ufficiale del significato causale di tali segnalazioni, ma anche dal suo diretto coinvolgimento nella campagna vaccinale. Insomma, è vero che godono dello scudo legale, è vero che ogni vaccinazione è preceduta dalla firma di un foglio di consenso informato: ciò non toglie che medici e operatori sanitari non gradiscono eccessivamente essere identificati, per loro stessa ammissione scritta, come coloro che hanno provocato danni – a volte anche gravi, a volte la morte – a cittadini sani.
D’altra parte, una famiglia in cui si sia verificato un caso di reazione avversa al vaccino non si trova nelle migliori condizioni di spirito per aspirare a dare un contributo all’epidemiologia (tra l’altro: come fare? Quanti sanno che l’AIFA ha aperto una pagina Internet apposita? Se ne è mai vista la pubblicità prima di un telegiornale, in alternanza con quelle che invitavano, con la faccia di conduttori e/o attori, a vaccinarsi?).
Per ripetere un dato già citato nel precedente articolo, si stima che le reazioni avverse segnalate con sorveglianza passiva siano tra l’1% e il 5% di quelle vere. Un tasso di segnalazioni-per-persona dello 0,3% potrebbe quindi nascondere una frequenza reale di reazioni avverse, sempre per persona, dal 6% al 30%. E considerando la seguente tabella, desunta dallo stesso rapporto, si può stimare dallo 0,6% al 3% di persone colpite da reazioni gravi. Cioè, all’incirca, tra 130.000 e 650.000 persone.
Alcuni sostengono che almeno le reazioni avverse che portano al decesso siano, verosimilmente, tutte segnalate (cioè che siano effettivamente “solo” lo 0,5% di 66.258, cioè 331). Non è chiaro su che cosa si fondi questa opinione: se i medici, come abbiamo visto, sono così pronti a escludere la responsabilità del vaccino (e c’è una pagina internet già citata, “Esclusa correlazione”, che riporta al riguardo una lunghissima lista), chi dovrebbe inviare la segnalazione di un “decesso forse collegato alla vaccinazione”? Se quindi 331 va moltiplicato, come sembra plausibile, per un fattore tra 20 e 100, ecco che il bilancio diventa molto più preoccupante: tra 6620 e 33.100.
Penso che sia chiaro da questi numeri per quale ragione sia attualmente in corso un’attività propagandistica sfrenata e “a reti unificate” per reinterpretare tutte le segnalazioni di reazioni avverse gravi (per non dire dei decessi) come altrettante coincidenze. E anche perché non si sia adottata la metodologicamente doverosa forma attiva della vigilanza per scoprire il reale effetto di questa campagna vaccinale sperimentale.
L’impatto delle vaccinazioni secondo le autorità sanitarie italiane
La conclusione tratta dagli autori del citato rapporto del 3 giugno 2021 sull’impatto delle vaccinazioni anti-covid-19 in Italia è:
«L’analisi congiunta ha evidenziato che il rischio di infezione da SARS-CoV-2, ricovero e decesso diminuisce progressivamente dopo le prime due settimane e fino a circa 35 giorni dopo la somministrazione della prima dose. Dopo i 35 giorni si osserva una stabilizzazione della riduzione che è circa dell’80% per il rischio di diagnosi, del 90% per il rischio di ricovero e del 95% per il rischio di decesso.
Questi effetti sono simili sia negli uomini che nelle donne e in persone in diverse fasce di età.»
La prima dose doveva essere stata somministrata:
– prima del 4 aprile per le diagnosi;
– prima del 21 marzo per i ricoveri;
– prima del 7 marzo per i decessi.
Si potrebbe pensare che i ricercatori che hanno condotto questo studio abbiano confrontato le condizioni studiate (diagnosi, ricoveri, decessi) tra due coorti paragonabili in tutto e per tutto, ma con la sola differenza che la prima si è vaccinata e la seconda no. Ahimè, non è questo ciò che hanno fatto. Il confronto è tra l’incidenza in una stessa coorte delle suddette condizioni nelle prime 2 settimane dopo la somministrazione della prima dose e da allora fino al 3 maggio. Ecco la spiegazione di questa scelta francamente bizzarra da un punto di vista epidemiologico:
«Il tasso di incidenza nei primi 14 giorni dopo la somministrazione della prima dose è stato considerato come valore di riferimento paragonabile all’incidenza nei non vaccinati, come riportato in alcuni studi (4), assumendo che la protezione indotta dal vaccino sia sostanzialmente trascurabile in tale periodo.»
Si direbbe una scelta “innocente”, nata, come spiegato, dalla consapevolezza della inefficacia dei vaccini anti-covid-19 nelle prime due settimane dalla prima dose (a parte il Janssen, che però corrisponde all’1% del campione).
In realtà nel mese di aprile ci si doveva aspettare, del tutto indipendentemente dalla campagna vaccinale (vedi anno 2020), una diminuzione di diagnosi, ricoveri e decessi.
In altre parole: questa analisi statistica è un po’ come misurare la capacità di una idrovora di abbassare il livello del mare mettendola in funzione poco prima dell’arrivo di una bassa marea.
Lo stesso tipo di errore si trova nel rapporto ISS-ISTAT del 10 giugno, dove si legge:
«Da marzo 2021, si cominciano ad osservare gli effetti positivi della campagna vaccinale che ha prioritariamente puntato a proteggere la popolazione più fragile. Se da un lato l’eccesso di decessi di marzo 2021, rispetto al dato medio dello stesso mese del periodo 2015-2019, continua a essere attribuibile per quasi il 90% ai morti di 65 anni e più, d’altro canto rispetto al picco di decessi di marzo 2020 il calo più importante si deve soprattutto alla classe 80+; il crollo dei decessi di questa classe di età rispetto a marzo 2021 spiega il 70% della diminuzione dei decessi totali osservata tra marzo 2021 e marzo 2020; un altro 26% è dovuto alla minore mortalità della classe 65-79 anni.»
Qui si ignora anche l’effetto “mietitura” dei mesi gennaio-febbraio 2021, che non ha alcun riscontro nel corrispondente periodo del 2020, quando la mortalità generale era stata addirittura inferiore a quella della media dei precedenti 5 anni.
Mi dispiace dover confermare che istituzioni che dovrebbero essere un “potere separato” rispetto a quello esecutivo, come ISS e ISTAT, mostrano invece un’ansia apologetica nei riguardi delle scelte sanitarie del governo che distorce il loro giudizio in varie maniere; si tratta di una tendenza che non nasce con la campagna vaccinale (si veda la questione del ruolo causale del covid-19 nella mortalità, e un più recente errore numerico).
Conclusione
L’idea che un intervento farmacologico preventivo, prima profetizzato e non ancora realizzato (ma c’era chi si portava avanti con il lavoro prima del 2020), poi realizzato ma (tuttora) non adeguatamente sperimentato, e per giunta uguale per tutti (il trionfo della medicina spersonalizzata), fosse la soluzione dell’emergenza denominata “covid-19” era un’impostura fin dalla sua apparizione, e il fatto che le misure restrittive precedenti la sua introduzione siano state conservate è una prova che gli stessi promotori non ci credevano.
Il punto, nonostante la ripetizione dei soliti stereotipi intesi a demonizzare le critiche, non è mai stato che quell’intervento si chiamasse “vaccino” – peraltro pur essendo qualcosa di molto diverso dai vaccini tradizionali. Il punto era che si trattava di una scommessa al buio sulla vita e la salute dei cittadini, per sostenere la quale era necessario negare valore a impostazioni cliniche fin dai primi mesi utilizzate con successo da medici i quali, senza lasciarsi fuorviare dalle indicazioni ministeriali, avevano continuato ad agire in scienza e coscienza per il bene dei propri assistiti (cfr. qui). Si è arrivati al punto di censurare le dichiarazioni di medici che descrivevano la propria esperienza del covid-19 in questi termini – eccone un esempio recente:
Particolarmente grave, dal punto di vista dei diritti del cittadino europeo, è stata la sospensione del Principio di precauzione, che è uno dei cardini della gestione del rischio nella legislazione europea. La Comunicazione della Commissione delle Comunità Europee del 2 febbraio 2000 lo chiarisce nei seguenti termini:
«La mancanza di prove scientifiche dell’esistenza di un rapporto causa/effetto, un rapporto quantificabile dose/risposta o una valutazione quantitativa della probabilità del verificarsi di effetti negativi causati dall’esposizione non dovrebbero essere utilizzati per giustificare l’inazione. Anche se il parere scientifico è fatto proprio solo da una frazione minoritaria della comunità scientifica, se ne dovrà tenere debito conto, purché la credibilità e la reputazione di tale frazione siano riconosciute.»
Da quanto abbiamo visto non c’è il minimo dubbio che le condizioni poste da questa dichiarazione siano pienamente soddisfatte per giustificare da parte di istituzioni europee e nazionali il contrasto alla campagna vaccinale anti-covid-19 – ma, ancora una volta, leggi e principî sono stati svuotati da chi detiene il potere reale.
Quasi tutto il mondo dello spettacolo e dell’informazione è stato arruolato per sostenere irresponsabilmente una campagna vaccinale priva di garanzie di sicurezza ed efficacia. Certo, nell’attuale cachistocrazia non è sorprendente che personaggi che non hanno molto da presentare a proprio favore che l’essere stati per anni obbedienti cortigiani, confermino anche a rischio della vita propria ed altrui la vocazione al servilismo. Con ciò non si intende accusare nessuno di malafede: molti si convincono facilmente di ciò che nella loro posizione è conveniente credere. Per esempio un noto giornalista televisivo, per criticare la scelta di non vaccinarsi, ha dichiarato durante una trasmissione del 10 giugno:
«io ho 48 anni, ho aspettato il mio turno, mi sono vaccinato una settimana fa, ed è stato un momento indescrivibile, nel senso che sono arrivato lì con uno stato d’animo che non pensavo, cioè è stato un momento di gratitudine, di ringraziamento, di ripartenza, quasi di gioia che non mi aspettavo […]»
Che un giornalista possa dire (se sinceramente o no è una questione diagnostica che qui non importa) a una platea di milioni di telespettatori cose del genere basterebbe da solo a destare serie preoccupazioni sullo stato dell’informazione in Italia.
In effetti le principali reti televisive non hanno dato alcuno spazio a punti di vista non allineati sulla campagna vaccinale, proprio come non l’avevano dato in generale a proposito dell’emergenza “covid-19”. Quando uno dei pochissimi giornalisti che può essere invitato a una trasmissione ad alta visibilità e permettersi di dire quello che pensa, Michele Santoro, l’ha fatto chiaramente presente, toccando per giunta alcuni nodi cruciali del rapporto tra scienza e democrazia, è stato trattato in malo modo.
Vedere ogni giorno di più l’intero sistema dei media nazionali dedicarsi a disinformare in tutte le accezioni del termine, e ad attaccare chiunque voglia ancora basare sulla razionalità la scelta se sottoporsi a un trattamento sperimentale preventivo o no, mostra fino a che punto la democrazia italiana è in sofferenza. L’attuale presidente della RAI, una decina d’anni prima di diventarlo, aveva pubblicato un libro dal titolo Gli stregoni della notizia. Da Kennedy alla guerra in Iraq: come si fabbrica informazione al servizio dei governi. Immagino che, da presidente, abbia deciso di mettere in pratica le tecniche esposte nel libro, e magari dare un “premio di produzione” ai giornalisti più abili in questo ramo.
Oggi una vaccinazione di così incerta utilità e con dubbi così seri sui danni provocati viene imposta con il ricatto della sospensione dal lavoro agli operatori sanitari (con tutte le ricadute che ciò avrebbe sui pazienti e i residenti delle case di riposo), e con quello di vedersi rovinate le vacanze a milioni di persone confuse dalla truffa pseudoscientifica e anticostituzionale del “Green Pass”. Dico “pseudoscientifica”, oltre che per le molte altre ragioni già spiegate, anche perché la durata della validità della «certificazione verde COVID-19» è stata fissata a 270 giorni per chi si è vaccinato, ma solo a 180 giorni per chi è guarito dal covid-19: mentre si sa ormai da mesi che la protezione dovuta alla guarigione dalla malattia è molto più lunga e più ad ampio spettro di quella ipoteticamente attribuita, anche dalle stesse ditte farmaceutiche, ai vaccini.
La massima scelleratezza è stata poi autorizzare (dal 1o giugno) la vaccinazione agli stessi ragazzi tra i 12 e i 15 anni, che del covid-19 non sono stati quasi mai né vittime né diffusori (si veda anche qui).
Che la salute dei cittadini non abbia mai avuto un posto alto nelle preoccupazioni della classe dirigente è confermato da come è stata gestita la questione della «vaccinazione eterologa», cioè la possibilità, a chi aveva assunto la prima dose del vaccino di Astra-Zeneca, di scegliere un tipo diverso per la seconda. Ora, il fatto puro e semplice è che l’intercambiabilità di un vaccino con un altro non è mai stata non dico provata, ma nemmeno studiata: le prove di efficacia (con tutti i limiti che abbiamo visto) non sono mai state fatte alternando i vaccini (cosa del resto ben poco sorprendente, visto che sono le industrie che finanzierebbero tali prove, e ovviamente nessuna industria si metterebbe ad aiutare un’altra… a “sostituirla”). Il responsabile Vaccini e Prodotti terapeutici per Covid-19 dell‘Agenzia Europea dei Medicinali (EMA) ha dichiarato il 17 giugno:
«“L’approccio del mix di vaccini potrebbe essere una strategia da adottare ma certamente le evidenze sono limitate ed è importante che raccogliamo più informazioni e monitoriamo attentamente”»
Insomma: non si sa nulla di certo. Eppure il 14 giugno l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) aveva dato il suo benestare, e, come ha osservato l’ex direttore generale dell’AIFA, Luca Pani, si è trattato di una scelta «incomprensibile e irrazionale»:
«Il comunicato e la decisione della CTS [= Commissione tecnico-scientifica] dell’AIFA sono inspiegabili e incomprensibili pur con tutta la buona volontà di immedesimarsi nei ragionamenti di una Commissione di cui ho fatto parte per un quinquennio.»
E a proposito di Principio di precauzione: queste dichiarazioni provengono o no da una personalità scientifica di sufficiente «credibilità» e «reputazione»? Con tutto ciò il 18 giugno il presidente del consiglio Mario Draghi tiene una conferenza stampa e annuncia: «L’eterologa funziona: io stesso martedì son prenotato per fare l’eterologa». E tanto basta perché i telegiornali ritengano chiusa la questione…
Insomma, la gestione del problema covid-19 non sta mettendo in pericolo “solo” la salute e l’ordinamento democratico degli italiani, sul quale si preannuncia l’ennesima violenza con il rinnovo di uno stato di emergenza senza fondamento nella Costituzione. È in pericolo anche la scienza, e la fiducia che si può richiedere in suo nome ai cittadini. Governi come quello italiano stanno facendo rivivere l’incubo dell’asservimento di intere comunità scientifiche (incluse le solite, ahimè decisive, maggioranze di “indifferenti”) ad interessi di oligarchie globali e locali, come avvenne con il manifesto degli scienziati razzisti in Italia e con il lysenkoismo in Unione Sovietica.
Prima fermiamo questa pericolosissima deriva – e possiamo ancora farlo con scelte individuali (in particolare quella dei genitori) e prese di posizione pubbliche –, meglio sarà per il futuro di chi sta vivendo adesso la sua gioventù in un momento storico di così forte regresso civile e culturale.
Inserito: 23 giugno 2021; piccola aggiunta: 24.VI.2021
Scienza e Democrazia/Science and Democracy
www.dmi.unipg.it/mamone/sci-dem
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