Si parlava in casa, qualche giorno fa, del tumore al seno scoperto in una nostra vicina e, siccome negli ultimi anni abbiamo avuto qualche altro caso, nel giro delle nostre conoscenti, fra le quali un paio decedute solo negli ultimi 12 mesi, ho provato a ributtarla là, suggerendo la visione del video che linko sotto.

Peccato che la risposta immediata sia stata: “Tanto anche se si sanno queste cose si muore lo stesso!” il che può essere anche vero (ad esempio: conoscere – o meglio presumere di conoscere – la causa scatenante di una allergia al glutine, o ai gatti, non è sempre garanzia di guarigione da tale allergia), ma non giustifica secondo me un atteggiamento rinunciatario e rassegnato.

La mia idea è che si sta male, ed in alcuni casi si muore, soprattutto per una mancanza di conoscenza, e che la conoscenza può cambiare radicalmente la visione della realtà che ci circonda. Nel caso specifico, lo stesso fenomeno tumorale (indurimento, rigonfiamento, ecc.) può essere visto, a seconda di quello che si sa, in due modi diametralmente opposti:

  1. In un caso, posso temere il “brutto male“, e pensare che ci sia un nemico, una sorta di tarma, all’interno del mio corpo, che cresce, che mi mangia, mi consuma, e l’unica reazione ammissibile è il combattimento contro tale nemico;
  2. In un altro caso, posso conoscere che la reazione che è in corso è un processo che la Natura sta mettendo in atto nel mio corpo per la mia salute.

Le visioni che la mia mente svilupperà, nelle due ipotesi, saranno ovviamente diametralmente opposte e daranno origine a stati d’animo completamente diversi, indipendentemente dalla procedura terapeutica che si deciderà di adottare che – paradossalmente – potrebbe anche essere la stessa.

Siccome però mi rendo conto che il tumore è difficile da dissociare dall’immagine che gli è stata data, quella del “brutto male” o addirittura “L’imperatore del male”, provo a rendere l’idea con un esempio più semplice.

Sappiamo tutti che a fronte di un taglio, di una ferita, di una sbucciatura, il sangue che esce forma una crosta. Ora, noi sappiamo che questa crosta è protettiva, impedisce allo sporco ambientale di superare la barriera della pelle che in quel punto non c’è più, e anzi si sta riformando proprio sotto al riparo della crosta e che quindi è un bene che ci sia.

Immaginate però che, al contrario, uno abbia paura di questa crosta: la veda (=proiezione della sua mente) come il primo segnale di un decadimento della pelle, una sorta di lebbra che sta invadendo la sua epidermide e, se non interviene per tempo, presto si troverà tutto il corpo coperto di questa orrenda cosa dura. Non cercherà forse di toglierla quanto prima, senza permettere alla Natura di completare il suo ciclo, riaprendo la ferita, esponendosi a nuove esposizioni allo sporco, ricontaminando la ferita, impedendo la guarigione, interferendo con la Natura?

Come dice Mark Pfister nel video sotto, in 30 anni di pratica non ha visto una sola donna morire di tumore al seno. Certe, ne ha viste morire, ma mai di quel rigonfiamento: sempre delle conseguenze di altro, quello che in genere viene chiamata “metastasi“. Che forse, se avessimo capito prima che il processo in corso non era contro di noi, ma a favore, non avremmo interferito terrorizzando la paziente e causandone – anche se involontariamente – la morte.

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