Il “Poema dell’Uomo-Dio” è un racconto illuminante e dettagliato della vita di Gesù che contiene, oltre a molti episodi noti e famosi dei vangeli, anche diversi episodi che nei vangeli non sono raccontati (sono 10 libri).

Uno di questi è per me particolarmente illuminante e “didascalico“, ci insegna cioè un criterio, un principio generale col quale vagliare le situazioni e prendere decisioni di conseguenza.

In estrema sintesi, Gesù incontra un indemoniato e lo guarisce. Dopo qualche tempo, l'(ex) indemoniato ritrova Gesù e i discepoli e, disperato, chiede a Gesù di farlo tornare indemoniato. Come mai? I farisei, dopo che Gesù lo aveva guarito, lo avevano convinto che a. Gesù era un impostore, era lui il vero demonio, e che b. finchè l’indemoniato era posseduto, non aveva colpa, perchè non agiva di suo, ma adesso che era tornato in possesso del suo libero arbitrio, era colpevole di tutto quello che faceva, in primis di aver accettato di essere aiutato da Gesù, e che per questo sarebbe stato condannato in eterno. Il pover’uomo è veramente disperato e non sa cosa fare, non sa cosa chiedere.

Cosa si nasconde dietro a questo episodio, dietro alla domanda disperata di quest’uomo? Qui sta secondo me l’essenza della nostra ricerca di cosa è giusto e cosa non lo è, di quale debba essere il nostro approccio nella ricerca della verità: dobbiamo fidarci dei nostri sensi, del nostro “buon senso“, o dobbiamo seguire un ragionamento, magari astruso, magari complicato, che ci porta a fare l’esatto opposto di quello che apparentemente, a prima vista ci sembra preferibile?

Lo abbiamo tutti in mente il modello con il quale siamo stati educati: se una cosa ti piace, allora ti fa male. Magari sembra esagerato, ma sotto sotto il concetto è quello: dobbiamo sacrificarci, dobbiamo vincere la nostra indole, dobbiamo essere sordi alle richieste del nostro corpo per far trionfare lo spirito: si parla di combattimento spirituale proprio ad indicare questo, la vittoria di una parte “buona” di te che deve prevalere su quella “cattiva” costituita dal tuo corpo, dai tuoi istinti, anche passando sopra ai segnali (fame, sete, dolore) che il tuo corpo ti dà.

In medicina questo approccio è quello prevalente: la malattia è un attacco, si guarisce solo ingaggiando una battaglia col nemico, armati di supporti esterni (le medicine); i sintomi, lungi dall’essere una cosa buona, sono anch’essi un nemico, il più delle volte andando a rendere sempre più labile il confine fra la causa e l’effetto, ed identificando il tutto con quel qualcosa di brutto e cattivo che va sconfitto. E se il nostro corpo non è da ascoltare, a maggior ragione si dà credito alle malattie silenziose, quei mali che ci crescono dentro senza fare nessun rumore, come se avessero un loro piano ed una loro strategia, e meno male che ci sono le analisi precoci, e che li abbiamo trovati in tempo, che se non sai cosa poteva succedere!

Ma possibile che il buon Dio ci abbia fatti così male? Che ci abbia messo dentro, nel suo progetto originale, l’inclinazione al male? Che ci abbia riempito di passione per le cose che ci fanno male, e abbia privato le cose buone di qualunque attrattiva, gusto, sapore? Non sarebbe un Dio un po’ sadico Uno che si comportasse così? Certo, Al Pacino (che impersona il diavolo) nel film “L’avvocato del Diavolo” ce lo vuol far credere proprio così. Ma noi sappiamo che le cose stanno diversamente.

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(Il più grande successo del diavolo: allontanare l’uomo dal suo Creatore, gettarlo nella disperazione, e poi dare la colpa a Dio)

Una delle cose che più mi hanno colpito, nei racconti di quelli che avevano avuto esperienze di pre-morte (NDE, Near-Death Experience), è che “tutto va come deve andare“: quello che siamo, come ci sentiamo, è una conseguenza delle nostre azioni, individuali e collettive, e non c’è nulla di sbagliato, nulla da combattere, nessuna contrapposizione o battaglia da ingaggiare: solo ascoltare, e capire, e crescere. E se non si capisce subito, la lezione ci verrà ripresentata, con pazienza, tutte le volte che ci servirà: questo è lo scopo di questa vita: imparare (ad amare).

Per questo è stupenda e da tenere sempre nel cuore la risposta che Gesù da a quell’indemoniato che era stato messo in confusione dai farisei (metafora del nostro ego che, col suo ragionamento acuto e consequenziale, ci porta dalla sua parte, volendoci far credere di essere separati dal tutto).

Gesù, con estrema pazienza e bontà, invita l’uomo a ragionare e gli domanda: “Quando eri indemoniato, prima di incontrarmi, anche se eri come addormentato, come ti sentivi? Cosa ti ricordi?” e l’uomo ammette che sì… non era propriamente in sè, ma insomma, i suoi ricordi sono come di un incubo, di un terrore, di uno smarrimento… E allora Gesù riprende: “E quando mi hai incontrato, e ti ho liberato, come ti sei sentito?” E quello: “Una meraviglia, una pace infinita, calma, gioia…”. “Bene – continua Gesù – quando i farisei ti hanno parlato, e ti hanno detto quello che mi hai raccontato, come ti sei sentito?” “Ah, di nuovo male, in confusione, sono ri-precipitato nelle tenebre, non sapevo più quale fosse la cosa giusta…” “e adesso che sei con me come ti senti?” “Signore, non vorrei più lasciarti, qui sto bene, mi sento in pace…”

“Ecco – dice Gesù rivolgendosi anche ai suoi discepoli – questo sia il vostro metro di misura. Ciò che viene da Dio dà pace, luce, gioia, serenità; ciò che viene dal demonio mette paura, smarrimento, angoscia. Sappiate sempre distinguere da voi la fonte”.

Dio non ci ha messo a questo mondo preparando una serie di trucchi, ostacoli, trabocchetti per renderci la vita difficile. La via è semplice: fidarsi, affidarsi, ed avere fede. Ed ascoltare la nostra voce interiore, il nostro corpo, i nostri sintomi, che ci diranno sempre la cosa migliore da fare. Una via semplice. Per chi si fida.