Ricevo segnalazione e volentieri ri-pubblico.
Osservazione mia: interessante che ci sia un rissveglio di attenzione sul microbiota, interessante la correlazione fra i conservanti che l’industria alimentare mette nei prodotti (per prevenirne il deterioramente) e l’effetto negativo che qusti hanno sull’apparato digerente.
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I solfiti sono dei conservanti che ostacolano la proliferazione di batteri negli alimenti. Sono famosi per essere aggiunti al vino per bloccare i lieviti ed evitare che rifermentino o che lo trasformino in aceto. Ma se nel vino e negli altri alimenti hanno il potere di bloccare la proliferazione batterica, quale ruolo potrebbero svolgere quando vengono ingeriti ed interagiscono con la nostra flora batterica intestinale?
Secondo uno studio del 2017 (Irwin SV, Fisher P, Graham E, Malek A, Robidoux A (2017) Sulfites inhibit the growth of four species of beneficial gut bacteria at concentrations regarded as safe for food. PLoS ONE 12(10): e0186629. https://doi.org/10.1371/journal.pone.0186629 ) la presenza di solfito di sodio e bisolfito di sodio negli alimenti e nel vino, nel limite consentito, danneggia 4 specie di batteri benefici per il microbiota intestinale, anche conosciuti come probiotici: Lactobacillus casei, Lactobacillus plantarum, Lactobacillus rhamnosus e Streptococcus thermophilus. E’ stato dimostrato che le 3 specie di Lattobacilli diminuivano sensibilmente con una concentrazione tra i 250 e i 500 ppm, mentre i solfiti avevano effetto battericida tra i 1000 e i 3780 ppm. Per quanto riguarda lo streptococco termofilo, il bisolfito di sodio risultava battericida nei suoi confronti con una concentrazione di 2000 ppm.
I valori di cui parla lo studio sono tutti ampiamente inferiori ai limiti di legge e comuni in alcune tipologie di alimenti che contengono conservanti. Il limite previsto dalla legge varia a seconda della tipologia di alimenti. Per i vini il limite va dai 150 mg/l dei vini rossi secchi, ai 200 mg/l dei vini bianchi fino ai 300 mg/l per i vini dolci e i 350 mg/l per i passiti. Rari sono i vini senza solfiti aggiunti.
Ci sono, però, alimenti in cui sono consentite dosi maggiori di solfiti. Il limite previsto per legge è di 2000 mg/kg in frutta secca (albicocche, pesche, prugne, fichi) e in surrogati di carne, pesce, crostacei e cefalopodi. Il limite è di 1000 mg/kg in senape, frutta a guscio e frutta secca, peperoni gialli in salamoia. 400 è il limite per preparati a base di patate come il purè. Di 200 nei pomodori secchi e di 170 nell’aceto. Limiti minori sono previsti per funghi secchi, patate congelate e surgelate, marmellate, ortaggi e frutta, amidi, fecole, biscotti secchi, birra.
Un altro studio (Franck Carbonero, Ann C. Benefiel, Amir H. Alizadeh-Ghamsari e H. Rex Gaskins – Microbial pathways in colonic sulfur metabolism and links with health and disease https://www.frontiersin.org/articles/10.3389/fphys.2012.00448/full ) ipotizza che l’idrogeno solforato possa essere causa di disturbi intestinali, malattie infiammatorie intestinali (IBD), colon irritabile e cancro del colon retto. L’idrogeno solforato viene prodotto da batteri intestinali (RBS) che riducono i solfati all’interno del colon. I solfati sono di origine inorganica (i solfiti aggiunti) o di origine organica (amminoacidi dietetici e mucine ospiti). Lo zolfo è presente naturalmente nelle proteine ed è fondamentale per la nostra vita. La riduzione del solfato organico è comune tra diversi generi di batteri, ma solo alcune specie di batteri (SRB) sono in grado di ridurre i solfati inorganici utilizzandoli nella propria respirazione e producendo idrogeno solforato (H2S).
Esistono prove sostanziali di un potenziale ruolo patogenetico dell’H2S nelle IBD, in particolare nell’UC (Pitcher and Cummings, 1996).
Le cellule epiteliali coliche sane dipendono dalla disponibilità di acidi grassi a catena corta come il butirrato per la nutrizione. Il butirrato viene prodotto durante la fermentazione del colon e ossidato dai colocociti attraverso l’enzima acil-CoA deidrogenasi. Poiché questo enzima è inibito dall’H2S, l’ossidazione del butirrato è compromessa dall’H2S (Babidge et al., 1998).
I solfiti sono utilizzati dall’industria alimentare come conservanti e presenti negli alimenti con diversi nomi chimici. Essendo i solfiti allergeni, devono essere necessariamente indicati con i rispettivi codici oppure ne deve essere indicata la presenza con la dicitura “contiene solfiti”.
Di seguito l’elenco dei solfiti e i codici identificativi.
- Anidride solforosa, E220
- Solfito di sodio, E221
- Bisolfito di sodio, E222
- Metabisolfito di sodio, E223
- Metabisolfito di potassio, E224
- Solfito di potassio, E225
- Solfito di calcio, E226
- Bisolfito di calcio, E227
- Potassio solfito acido, E228
Coloro che difendono la presenza di solfiti nel vino portano la motivazione che un quartino o mezzo litro di vino non possono far male. Non si considera che sono numerosi i prodotti trasformati dall’industria alimentare a contenere solfiti e che durante l’arco della giornata possono essere diversi i cibi consumati a contenerne. Non solo, se a questo ci aggiungiamo il glifosato presente in tutti i derivati dei cereali (pane, pasta, pizza, birra ecc.), anch’esso distruttivo nei confronti del microbiota, e i pesticidi, fungicidi utilizzati nelle colture intensive possiamo immaginare il cocktail chimico che andiamo a creare nel nostro stomaco con conseguenze sul metabolismo, rischio obesità e intolleranze oltre ai danni al microbiota.
Il consiglio da parte nostra è sempre quello di preferire il biologico, il cibo integrale e quanto meno industriale e trasformato, avere aziende agricole di fiducia e consumare minori quantità di vino ma biologico e senza solfiti.
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