Uno dei pochi occidentali, forse il primo dopo svariati secoli, a diventare maestro buddista (Geshe) in un monastero tibetano è “Geshe” Michael Roach, che ho “conosciuto” grazie ad una sua apparizione sui famosi TED talks, incontri dove personaggi di varia estrazione raccontano, in 10- 20 minuti al massimo cose che “vale la pena di diffondere” (ideas worth spreading è il claim di TED).

Al di là del racconto autobiografico, simpatico, di questo signore che a vent’anni, a seguito della perdita della madre decise di partire per l’India e poi vi rimase 25 anni, lo cito per una perla di saggezza che secondo me dovremmo tutti meditare ogni giorno.

In sostanza, secondo lui, qualunque cosa si voglia ottenere, sia spirituale ma anche materiale, dobbiamo lavorare non per ottenerla per noi stessi ma per aiutare qualcun altro ad ottenerla. E poi la vita, agendo come uno specchio, darà a noi altrettanto, e molto di più. Un significato profondo sta dietro a questo insegnamento: se si lavora per sè non si arriva da nessuna parte, e l’unica maniera per ottenere risultati importanti e duraturi è dedicarsi a qualcun altro. Condivisibile?

Direi proprio di sì. Questo mi ha fatto ritornare in mente l’esempio del nostro solito Don Romeo (visto anche qui e quiche una domenica, nella parte di predica riservata ai bambini, aveva messo al centro un vassoio pieno di caramelle e dolcetti, dicendo ad alcuni bambini che potevano prenderne quante ne volevano. Ma con un piccolo accorgimento: le braccia dei bimbi dovevano stare infilate in delle specie di tubi di cartone che rendevano impossibile piegare i gomiti. E quindi nessuno riusciva a portare alla bocca il dolcetto! Dopo alcuni tentativi a vuoto i bambini capirono come superare il problema: ognuno raccoglieva dal vassoio per darne ad un altro, e non per sè. e tutti potevano averne in grande quantità.

Dio non ci mette le braccia in un tubo in modo che non possiamo piegarle: ci lascia liberi, e forse si aspetta che ci arriviamo da soli. Ma se ci pensiamo bene, ci rendiamo conto che agire per gli altri è un potente moltiplicatore del risultato delle nostre azioni, che farà il bene di tutti e anche nostro.

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AGGIUNTA: Dopo il commento di Rolando aggiungo quanto al suo link:

INFERNO E PARADISO PER I CINESI
C’era una volta un mandarino cinese che, giunto al momento di passare a miglior vita, chiese ed ottenne di poter visitare le due dimore eterne: l’Inferno e il Paradiso. Fu accompagnato così al soggiorno dei dannati e vide un immenso prato verde disseminato di tavole imbandite, al centro delle quali svettavano vassoi colmi di riso; e attorno alle mense i dannati, forniti dei tradizionali bastoncini che i cinesi usano per mangiare. Solo che qui erano lunghi due metri e potevano essere impugnati soltanto alle estremità. Se usati con molta accortezza, potevano permettere di racimolare qualche acino di riso, ma portarlo poi alla bocca era un’impresa impossibile. Così i commensali, affamati, disperati, furibondi gli uni contro gli altri, erano condannati a dibattersi nell’eterno tormento dei morsi della fame, pur in mezzo a tanto ben di Dio. Colpito da quello spettacolo di rabbiosa inedia nell’abbondanza, il mandarino proseguì il suo viaggio ed arrivò nel soggiorno dei beati. Anche qui un immenso prato verde disseminato di tavole imbandite, con al centro grandi vassoi colmi di riso. Attorno alle mense, anche i beati avevano in mano bastoncini lunghi due metri, che si potevano impugnare solo alle estremità. Ma qui ogni commensale, anziché affannarsi in contorcimenti indicibili per imboccare se stesso, con estrema naturalezza, offriva il cibo al commensale che gli stava di fronte. Così tutti potevano mangiare a sazietà, davvero beati, in un’atmosfera di perenne amore. (Da una novella cinese)

 

 

https://www.youtube.com/watch?v=eRSFHYzuUmQ