Il 18 gennaio 1989, l’allora 39enne pastore americano Don Piper stava guidando la sua auto in una giornata piovosa, di ritorno da un congresso religioso cui aveva partecipato. Percorrendo un ponte la sua auto si scontrò frontalmente con un un camion che proveniva nella direzione opposta: lo schianto gli fu fatale. Numerose ambulanze arrivarono sul luogo dell’incidente, perchè numerose erano state le macchine coinvolte; ma, fortunatamente, nessuno era ferito gravemente, oltre a lui, che, in realtà, era morto. Infatti fu dichiarato morto da ben 4 paramedici diversi. Nella coda che si era formata immediatamente dietro l’incidente si trovavano diversi preti, che erano stati alla stessa riunione di Don; uno di loro, sceso dalla macchina, si avvicinò al luogo dell’impatto e chiese ad un poliziotto se poteva pregare per qualcuno, visto che era un prete; il poliziotto gli rispose che non c’era nessuno per cui pregare, visto che stavano tutti abbastanza bene, tranne quello nell’auto rossa, che però era già morto. Una voce disse al prete di pregare per quel “morto”, e il prete, incurante del poliziotto che cercava di dissuaderlo, si infilò dal lunotto posteriore dell’auto distrutta di Don per pregare per lui, tenendogli una mano sulla spalla (da dietro, non riusciva ad avvicinarsi di più); e pregò per un’ora e mezza, dalle 11.45 alle 13.15. Tanto si dovette aspettare perchè arrivasse un medico legale che constatasse la morte e rendesse possibile l’asportazione del cadavere.

Alle 13.15, mentre cantava: “What a friend I have in Jesus (che amico che ho in Gesù)”, il sangue si raggelò nelle vene del povero prete che sentì il morto, da sotto il lenzuolo da cui era stato coperto, unirsi al suo canto.

Nonostante questa sia la parte più incredibile, dal punto di vista umano (la “risurrezione” dopo un’ora e mezza), anche il decorso e la successiva riabilitazione hanno degli elementi di totale eccezionalità: sia il braccio sinistro che la gamba sinistra erano quasi completamente staccati, tenuti al corpo da un piccolo lembo di carne, e addirittura 10 centimetri di tibia erano mancanti, e furono fatti ricrescere con complicate e dolorose applicazioni di “tiranti” sulla gamba e sul braccio. Don ebbe 34 operazioni in meno di un anno; ma, al termine di questo calvario, oggi può cammnare e condurre una vita normale.

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La storia di Don però è ancora più particolare se ascoltiamo la sua testimonianza. Racconta infatti di come, in quei 90 minuti (ma il tempo come lo conosciamo noi non ha corrispondenza nell’Altra dimensione) sia stato in Paradiso, accolto da parenti ed amici, e abbia potuto godere della Pace e dell’Amore sconfinato, come molti che hanno avuto esperienze di pre-morte (NDE – Near Death Experience), anche se nel suo caso non si può parlare di pre-morte ma di vera e propria morte.

Non credo che i due aspetti di questa esperienza siano scollegati. Forse, nel disegno di Dio, c’era la necessità di qualcosa di straordinario, eccezionale anche dal punto di vista umano, per attirare l’attenzione sulla parte soprannaturale della sua esperienza. Per questo nel suo racconto Don diche che Dio ha preso la sua storia, per trasformarla:

  • from a tragedy, to a triunph (da tragedia a trionfo)
  • from a test to a testimony (da prova a testimonianza)
  • from a mess to a message (da un disastro ad un messaggio)
  • from pain to purpose (dare un significato ed uno scopo ad un dolore).

Voglio citare un particolare che mi ha colpito nel suo racconto. Lui osserva come ad accoglierlo (alle porte del Paradiso) ci fossero persone che avevano avuto un ruolo particolare nella sua vita, magari all’apparenza insignificante, o di poco conto. Ad esempio, lui parla della signora Nora. Chi era questa signora? Era la vicina di casa della sua famiglia, una coppia di genitori adottivi, che la domenica mattina portavano i loro figli alla chiesa locale. Il piccolo Don, 9 anni, aveva il papà militare oltre oceano, e la mamma non aveva la patente, e non poteva portare i figli a messa. La signora Nora, dotata di sensibilità femminile, l’aveva capito, e aveva detto alla mamma del piccolo Don: “Digli che si prepari domenica, e ci aspetti fuori dal cancello“. E così, accostando la lor station wagon, abbassano il finestrino e Nora dice: “Vieni con noi, Don?” e lui “Grazie, signora!”.  E loro a far spostare i loro bimbi per far posto anche a lui.

Particolare insignificante? Gesto di attenzione di poco conto? Eppure, alle porte del Paradiso, insieme ad altri, dopo 30 anni, ecco la signora Nora, ad accogliere Don.

Due lezioni.

La prima, non esistono gesti di poco conto. Se fatti col cuore, hanno un valore inestimabile. La seconda: ci siamo mai chiesti chi ci accoglierà dall’Altra Parte? Ma ancora più importante: e noi chi accoglieremo? Stiamo lavorando per avere l’onore di andare ad accogliere qualcuno in paradiso, se passeremo prima noi?

Molto si gioca in questa vita. Ogni attimo, ogni giorno, ci dà infinite opportunità di lasciare dei semi per l’eternità. Non sprechiamo nessuna occasione.