Le esperienze pre-morte, o NDE, dall’inglese Near-Death Experience, costituiscono un interessantissmo campionario di studio per chi si lasciasse tentare dall’illusione del materialismo.

Non soltanto esistono moltissime coincidenze fra protagonisti diversi per tutta una serie di elementi, quali età, sesso, cultura, etnìa o religione di provenienza, che suggeriscono la effettiva consistenza e veridicità di queste esperienze; ma esistono elementi oggettivi che smentiscono categoricamente la possibilità di allucinazioni o proiezioni della mente, come a volte suggerito da qualcuno, magari rivisitazioni dell’esperienza della nascita o cose ancora più ancestrali, ma pur sempre radicate nel nostro cervello o nelle nostre cellule. La “coscienza“, ancorchè normalmente ed abitualmente fatta risalire ad una attività del cervello (forse perchè quando dormiamo non “abbiamo coscienza”?) pare essere del tutto autonoma ed estranea al cervello e al corpo, se sono riportate esperienze, visioni, emozioni, ecc. durante periodi in cui anche la corteccia cerebrale, che guida i processi automatici, era completamente piatta. Non sono rari inoltre i casi di “resuscitati” che riferiscono situazioni o conversazioni che non avrebbero potuto assolutamente presenziare o sentire, in quanto tenutesi a notevole distanza; addirittura ciechi dalla nascita che riferiscono, nella loro esperienza pre-morte, di aver visto (ed una volta risvegliati sono ritornati come erano prima, cioè ciechi).

Insomma: esiste una coscienza che è assolutamente autonoma ed indipendente dal corpo e dai suoi cinque sensi, e che sopravvive ad esso.

Per noi che crediamo nell’esistenza dell’anima, anzi, della pre-esistenza dell’anima al corpo, queste sono confortanti conferme, ma non ci dicono qualcosa di particolarmente nuovo o sorprendente. Fa semmai piacere il constatare come tutti, inclusi gli atei, abbiano più o meno le stesse reazioni a tali esperienze:

  • nessuna paura della morte, dopo aver vissuto questa esperienza;
  • vita molto più serena e spirituale, minor interesse per le cose materiali;
  • maggiore attenzione agli altri, disponibilità, comprensione, amore, perdono.

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Quella che riporto sotto è una esperienza che mi ha colpito perchè, oltre a quanto sopra, affronta, nell’intervista, l’argomento tumore.

Anita Morjani era stata affetta da tumore da 6 anni quando, ormai invasa e davastata (collo, spina dorsale, polmoni, ecc.), i medici avevano comunicato ai suoi familiari che le restavano poche ore di vita. Entrata in coma, vide suo padre (morto di tumore 10 anni prima) che le disse che non era giunto il suo momento, e doveva tornare indietro; vide una sua amica, morta di tunore 2 anni prima, nei confronti della quale si sentiva un po’ in colpa per non esserle stata vicina nei momenti finali della sua vita, ma questa le dimostrava solo amore, amore incondizionato. E così, risvegliatasi dopo poco, guarì nel giro di pochissimo tempo, tanto che i medici non sapevano cosa scrivere sulla sua cartella clinica.

Moltre altre sono le informazioni interessanti che mergono nella chiaccherata che riporto, ma vorrei citare solo l’argomento “malattia“. Al riguardo del suo tumore c’è infatti un interessante scambio di battute con l’intervistatore. Lei dice che, sostanzialmente, siamo noi che, a forza di vivere nella paura e nel non amore (in particolare verso noi stessi ma anche verso gli altri) ci causiamo la malattia. Al che l’intervistatore prova a riportare il discorso sulle cause più “tradizionali“: fattori genetici, fumo, fattori ambientali… Ma lei insiste sulla sua posizione: ci sono persone che fumano una vita e non si ammalano di tumore ai polmoni (non che fumare faccia bene, anzi, ma non è quella la causa del tumore); per quanto riguarda la genetica, cita Bruce Lipton (visto diverse volte su queste pagine) e le sue ricerche che capovolgono la genetica per trasformarla in epi-genetica: non è il nostro genoma a determinare come staremo e cosa avremo, ma è come stiamo e come ci sentiamo che può alterare e modificare (attivare o inibire) l’azione dei singoli geni.

Per noi che conosciamo Hamer e le sue 5 leggi biologiche questa è una interessante, anche se indiretta, conferma: non esiste, anche a detta di chi di tumore stava morendo (ma in realtà ringrazia, perchè dice Anita: “grazie al tumore sono rinata”), un aggressore, un nemico dall’esterno, ma si tratta di un processo, che noi attiviamo con il nostro modo (sbagliato) di vivere, facendo le nostre scelte in base alla paura e non all’amore, e che comunque può avere un significato ed un senso nella nostra vita.

Che si trovino conferme anche da fonti così disparate e che non si conoscono fra loro è a mio avviso la più lampante delle prove che la Verità si fa trovare da chiunque la cerchi, arrivandoci magari da strade diverse, a volte più lunghe e tortuose, a volte più dirette: ma il punto d’arrivo è lo stesso per tutti.

L’intervista lunga ad Anita Moorjani:

https://www.youtube.com/watch?v=QzWJjEqcUSw

Ed un suo intervento breve ai TED talks: