No, non cominciate ad esultare: il “chiaccherone del villaggio” non ha perso il vizio, non ho perso l’amore per la scrittura, e non vi libererete molto facilmente di me (nel senso che io continuerò a scrivere; voi, certo, potete anche andarvene su qualche altro sito, casomai…).
Torniamo seri. Mi sono chiesto: ma se, dopo tutti questi anni da quando è inziato questo mio piccolo “risveglio“, e poi con il libro, anzi i libri, e il blog, e le conferenze, e aver conosciuto e incontrato un sacco di persone interessanti, insomma, se dopo tutto questo dovessi scrivere un post che sia l’ultimo, il definitivo, e dopo non scrivere più nulla, cosa ci scriverei? Cosa lasciare come elemento più importante, quale messaggio infilare in questa bottiglia da affidare alle onde, quale concetto, quale messaggio sceglierei, se potessi “sparare una sola cartuccia“?
Non avrei nessun dubbio.
(Certo, le cose interessanti sono molte, da come ci imbrogliano in maniera quasi sistematica, ci costringono alle guerre con i falsi attentati; ci avvelenano con sostanze chimiche nei cieli e farmaci velenosi che tacitano i sintomi causando nel contempo effetti collaterali peggiori dei mali che curano; il cibo viene addizionato di sostanze che stimolano il cervello a volerne ancora…. per non parlare poi del signoraggio, la moneta creata dal nulla a debito, che permette a chi la crea di impradonirsi del Creato ma nel contempo schiavizza chi la riceve con un debito eterno, irripagabile… E la medicina? Le fantastiche scoperte di Hamer, per cui non esistono “mali cattivi”, ma è tutto logico e conseguente di un disegno amoroso e armonioso? Come negare l’importanza di tutte queste cose?)
Ma se dovessi proprio scrivere un ultimo post, un’ultima cosa che proprio non vorrei andasse persa, che vorrei che tutti sapessero, che fosse scritta su tutti i muri, sui giornali, sui libri di testo e annunciata nei discorsi programmatici dei presidenti neo-eletti, cosa sceglierei?
Semplicemente, scriverei:
“Non esiste il bene individuale. O il bene è comune, o, semplicemente, non è.“
Siamo UNO (vedi anche qui e qui). E come in un corpo (dal famoso apologo di Menenio Agrippa) nessuna parte può funzionare bene se un’altra soffre, anche noi, come organismo-società non possiamo prosperare se una parte soffre. Se non ci rendiamo conto di questo allontaneremo sempre più in avanti il momento in cui potremo essere veramente felici, spargere amore e felicità intorno a noi, ricevere indietro questo amore questa felicità e creare un mondo migliore. Tutto ciò che divide, separa, mette in competizione diventa pertanto un ostacolo alla felicità. Siamo, in buona sostanza, sulla stessa barca. E pertanto non ci può essere divisione in fazioni che possa portare qualcosa di buono. Dobbiamo arrivare in porto tutti insieme, non si lascia a terra (o in mare!) nessuno. Ci piaccia o meno, questo è il passettino in avanti che dobbiamo fare. “Non ci sono nemici, ci son solo infelici, infelici da amare, basta anche un sorriso” diceva il nostro Donpa in una canzone.
Qualche anno fa, con l’amica Monia Benini e il senatore Fernando Rossi, mi ero un po’ impegnato con il loro movimento, denominato “Per il Bene Comune” (poi il PD si appropriò del loro slogan svilendone la portata, ma questo è un altro discorso). A quel tempo però credevo ancora che il “Bene Comune” fosse una alternativa, da preferire senza ombra di dubbio, al “bene individuale” (o di una fazione, di un gruppo, di una etnìa, di una nazione). Adesso invece mi è chiaro come il Bene non possa assolutamente essere se non è universale. Anche in logica puramente positivista, o se preferite materialista-consumista, qualunque azione che porti ad un arricchimento di una sola parte, contrapponendola al resto, causerà un impoverimento generale che di riflesso si rivolterà contro, anche contro chi quell’arricchimento l’avrà, per un breve periodo iniziale, ricevuto. Al contrario, ciò che arricchisce il sistema economico produce benessere per tutti: nessuno ne viene impoverito anche se, apparentemente, ha rinunciato ad un immediato quanto effimero apparente beneficio immediato. Anche nelle organizzazioni la capacità di pensare ed agire come un gruppo aumenta il rendimento (*).
Se cominciamo a seminare questa percezione nel nostro intimo, e la alimentiamo, meditandola e applicandola ogni giorno, cominceremo a vedere tutto in modo diverso, ingrandendo sempre di più il nostro campo di influenza, rendendo più esteso ed inclusivo il mondo che riusciamo a vedere ed abbracciare. Noi ci sentiamo naturalmente affini con alcuni e contrapposti ad altri. Ma da qui bisogna progredire.
Da quello che ci sorpassa e ci taglia la strada senza riguardo alla zingara che ci chiede i soldi al finestrino, dal venditore telefonico che ci chiama per la sua proposta all’amico invadente che parla e non ascolta… tutti quanti siamo camerati dello stesso corso, comparse della stessa compagnia, piloti della stesso team acrobatico, vogatori della stessa imbarcazione; la quale o arriverà in porto per tutti e porterà tutti a destinazione, o sarà rispedita indietro senza complimenti a ripescare quelli che si erano persi per strada.
Che non erano, e non saranno mai, “altro” da noi. Solo, altri noi.
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“Tutte le cose vicine e lontane segretamente sono legate le une alle altre e non si può toccare un fiore senza disturbare una stella” (Francis Thompson).
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(*) Riprendo questo bel discorso sentito in un TED, a proposito di come i gruppi che collaborano ottengono risultati migliori di quelli che non lo fanno, anche quando le qualità e i livelli di intelligenza sono inferiori. Estendendo il concetto, da gruppo ad azienda, a sistema economico, ad intera società, il passo è breve.
Includo la trascrizione del testo:
Un biologo evoluzionista della Purdue University, William Muir, fece uno studio sui polli. Muir si interessava di produttività, una cosa che penso riguardi tutti noi, ma che nei polli è facile da misurare perché basta contare le uova. (Risate) Voleva sapere come rendere i suoi polli più produttivi, così escogitò un bell’esperimento. I polli vivono in gruppi, quindi ne selezionò una colonia media e la lasciò crescere per sei generazioni. A questo punto, creò un secondo gruppo composto dagli individui più produttivi, che chiameremo superpolli. Questi furono riuniti in una super colonia, selezionando da ogni generazione soltanto gli individui più produttivi.
0:56Dopo sei generazioni, indovinate cosa scoprì? I polli del primo gruppo, quello medio, se la passavano benissimo. Erano tutti belli grassottelli e ben piumati e la produzione di uova era aumentata notevolmente. E il secondo? Tutti morti, eccetto tre superstiti che avevano beccato a morte tutti gli altri.(Risate) Gli individui più produttivi avevano raggiunto il successo solo eliminando la produttività degli altri.
1:29Sono andata in giro per il mondo a raccontare questa storia in aziende e imprese di ogni genere e chi ascolta vede il nesso quasi immediatamente, si alzano e vengono a dirmi cose tipo: “Ehi quel gruppo di superpolli è proprio come la mia azienda.“ (Risate) Oppure: “Il mio Paese.“ O ancora: “La mia vita.“
1:52Da una vita mi sento dire che per andare avanti si deve essere competitivi: frequentare le scuole giuste, trovare il lavoro giusto, arrivare in cima ma in verità non l’ho mai trovata una cosa troppo stimolante. Ho cominciato a gestire imprese per il piacere dell’inventiva e perché lavorare fianco a fianco con persone brillanti e creative è gratificante di per sé. Non mi hanno mai motivata molto neanche le gerarchie e i superpolli o le superstar, per quanto ne so. Ma in questi ultimi 50 anni, abbiamo gestito la maggior parte delle imprese e alcune società ispirandoci al modello dei superpolli. Pensavamo che il successo si ottenesse selezionando delle superstar, scegliendo gli uomini più intelligenti, più raramente donne, e fornendo loro tutte le risorse e tutto il potere possibili. Il risultato è stato esattamente lo stesso dell’esperimento di William Muir: aggressività, malfunzionamento e sprechi. Se per l’individuo più produttivo, l’unico modo di avere successo consiste nel sopprimere la capacità produttiva altrui, vuol dire che urge assolutamente trovare metodi di lavoro migliori e un sistema di vita più gratificante. (Applausi)
3:09Cos’è, dunque, che rende alcuni gruppi evidentemente più efficaci e produttivi di altri? Questa domanda se l’è posta un gruppo di ricercatori del MIT. Dopo aver reclutato centinaia di volontari, li hanno divisi in gruppi e assegnato loro problemi di difficile soluzione. Com’era prevedibile, alcuni gruppi sono stati molto più bravi di altri ma, significativamente, i migliori non si sono dimostrati quelli che contenevano uno o due individui dal Q.I. eccezionale. E nemmeno i gruppi con il Q.I. complessivamente più elevato. Le squadre migliori avevano, invece, tre caratteristiche. Innanzitutto, avevano un elevato grado di sensibilità sociale reciproca, un indice che viene misurato con il Test di Lettura dello Sguardo, ritenuto in genere un test di valutazione del grado di empatia. I gruppi con un punteggio elevato a questo test sono risultati migliori. In secondo luogo, nei gruppi migliori tutti avevano lo stesso tempo per parlare, in modo che non ci fosse una voce dominante, ma neanche partecipanti passivi. E infine, i gruppi più bravi erano quelli dove c’erano più donne. (Applausi) Sarà perché le donne di solito totalizzano punteggi più elevati al Test di Lettura dello Sguardo, finendo per raddoppiare il quoziente di empatia? O perché apportano di una prospettiva diversificata? Non si sa con precisione, ma la cosa più rilevante di questo esperimento oltre a ciò che sappiamo, e cioè che alcuni gruppi sono migliori di altri, è la dimostrazione che l’elemento chiaveè costituito dalla loro connessione sociale reciproca.
4:54Come funziona tutto ciò nel mondo reale? Le interazioni tra individui sono davvero importanti perché in gruppi di individui molto sensibili e in sintonia tra loro, le idee circolano e si sviluppano meglio. Gli individui non si bloccano. Non sprecano energie in vicoli ciechi.
5:13Un esempio per tutti è Arup, una delle maggiori aziende di progettazione, incaricata di costruire il centro equestre per le Olimpiadi di Pechino. Questo edificio doveva accogliere 2.500 cavalli purosangue, nervosissimi perché provenienti da voli lunghi e sfibranti e quindi stressati dai fusi orari, e certamente non in forma smagliante. Il problema che il progettista si trovava ad affrontare era calcolare la mole di rifiuti da smaltire. Queste sono cose che non ti insegnano all’università, — (Risate) — cose che di sicuro vuoi evitare di sbagliare, che possono significare mesi passati tra ricerche, consulenze veterinarie e modifiche dei fogli di calcolo. Lui, invece, decise di chiedere aiuto. Trovò qualcuno che aveva progettato il Jockey Club di New York e il problema fu risolto in meno di una giornata. Alla Arup, la cultura della collaborazione viene considerata fondamentale per il successo.
6:14Il concetto di cooperazione potrà anche sembrare sbiadito, ma per una squadra di successo rappresenta un punto cardinale che supera invariabilmente l’intelligenza individuale. Collaborazione significa che io non sono tenuto a sapere tutto, è sufficiente che lavori tra persone capaci di dare e ricevere aiuto. Alla SAP, stimano che a ogni domanda si possa rispondere in 17 minuti. Ma nessuna delle azienda high-tech in cui ho lavorato penserebbe mai che si possa trattare di un problema tecnologico, perché la collaborazione nasce da persone che si conoscono tra loro. Vi sembrerà fin troppo ovvio, è una cosa che accade normalmente, penserete, ma non è così. Quando gestivo la mia prima azienda di software, mi resi conto che ci stavamo bloccando. C’erano molti attriti e nient’altro, man mano, però, capii che tutte le persone creative che avevo assunto non si conoscevano. Erano così concentrate sul proprio lavoro individuale, che non sapevano neanche chi fosse il loro vicino di scrivania. Solo dopo le mie insistenze per smettere di lavorare e investire del tempo per conoscerci, ci fu il vero slancio.
7:35Questo accadeva 20 anni fa mentre oggi visito aziende che vietano di portarsi il caffè alla scrivania perché vogliono che i dipendenti s’incontrino alle macchine del caffè e passino tempo a chiacchierare. In Svezia hanno perfino coniato un termine apposito, fika, che ha un significato più ampio della semplice pausa caffè. Vuol dire ristorazione collettiva. Alla Iddexx, un’azienda del Maine, hanno creato degli orti nella sede aziendale, per far sì che impiegati di settori diversi possano lavorare insieme e conoscere l’azienda nella sua globalità. Pensate che siano impazziti? Al contrario! Hanno pensato che quando il gioco si fa duro, cosa che accade quasi sempre quando si fa un lavoro veramente innovativo e importante, gli impiegati hanno bisogno di un sostegno sociale, devono sapere a chi rivolgersi per chiedere aiuto. Le aziende non hanno idee, le persone ce le hanno. E le persone sono motivate dai legami di lealtà e fiducia reciproca che formano tra loro. La cosa più importante è la malta, non i mattoni.
8:45Nel suo insieme, tutto ciò si chiama comunemente ‘capitale sociale’, ovvero, quell’affidamento e quella interdipendenza che edificano la fiducia. Il termine deriva dalla sociologia, dallo studio di comunità che si dimostrano particolarmente resistenti in situazioni di stress. Il capitale sociale è l’elemento che dà impulso e che rafforza le aziende. Che cosa significa in termini pratici? Significa che il tempo è tutto perché il capitale sociale aumenta con il tempo. I gruppi che lavorano insieme più a lungo, diventano più bravi perché stabilire la fiducia necessaria per rapporti franchi e aperti richiede tempo. Il tempo crea valore. Quando Alex Pentland suggerì a un’azienda di sincronizzare le pause caffè per dare agli impiegati il tempo di parlare tra loro, i profitti aumentarono di 15 milioni di dollari e il grado di soddisfazione dei dipendenti crebbe del 10%. Niente male come ritorno d’investimento sul capitale sociale, che aumenta anche quando viene speso. Non si tratta di cameratismo o di istituzionalizzazione dei perditempo: chi lavora in questo modo tende ad essere piuttosto incisivo, entusiasta, assolutamente determinato a pensare con la propria testa, che è esattamente il tipo di contributo che gli viene richiesto. I conflitti sono frequenti ma innocui perché basati sulla sincerità. Accade così che delle buone idee si trasformino in grandi idee, perché nessuna idea nasce perfettamente definita. Emerge un po’ alla volta, come un bambino che nasce, un po’ disordinata e confusa, ma piena di possibilità. Ed è soltanto attraverso il contributo generoso, la fiducia e la sfida che essa realizza il suo potenziale. Il capitale sociale sostiene proprio questo tipo di processo.
11:00Noi non siamo abituati a parlare di cose come il talento o la creatività in questo modo. Di solito, parliamo di star. Perciò ho cominciato a chiedermi: ma se iniziamo a lavorare così, vorrà dire che non ci saranno più star? Così, ho cominciato ad andare alle audizioni all’Accademia di Arte Drammatica a Londra. Quello a cui ho assistito lì mi ha davvero stupita. Gli insegnanti, più che ricercare individui particolarmente istrionici, erano interessati alle dinamiche che si venivano a creare tra gli studenti, perché quello era l’elemento veramente drammatico. Produttori di album di successo hanno affermato che: “Certo, ci sono tante superstar nel mondo della musica. Solo che non durano a lungo. Sono quelli bravi a collaborare che hanno le carriere più lunghe, poiché permettendo agli altri di tirar fuori il lato migliore, riescono a trovare il meglio in se stessi.“ Sono andata a visitare alcune aziende, rinomate per genio e creatività, e non ho visto neanche una superstar perché tutti erano ugualmente importanti. Quando penso alla mia carriera, a tutte le persone straordinarie con cui ho avuto il privilegio di lavorare, mi rendo conto che potrebbe esserci un maggiore scambio reciproco se solo la smettessimo di cercare di essere dei superpolli. (Risate) (Applausi)Quando si comprende veramente il significato del lavoro collettivo, è necessario cambiare molte cose. La gestione competitiva dei talenti ha sistematicamente messo gli impiegati l’uno contro laltro. È ora di sostituire la rivalità tra individui con il capitale sociale. Per decenni, abbiamo cercato di motivare le persone con il denaro nonostante gran parte delle ricerche fatte dimostrasse che il denaro mina le relazioni sociali. Ora come ora, è necessaria la motivazione reciproca degli individui. Per anni abbiamo visto i leader come eroi solipsisti, dando per scontato che risolvessero problemi complessi, in totale autonomia. C’è bisogno di ridefinire il concetto di leadership come il tipo di comportamento che crea le condizioni necessarie affinché tutti gli individui insieme riescano a pensare nel modo più audace.
13:35Funziona e lo sappiamo bene. Quando il Protocollo di Montreal chiese la graduale eliminazione dei CFC, i clorofluorocarburi coinvolti nel buco dell’ozono, i rischi erano enormi. I CFC erano dappertutto e non si sapeva se esistesse un surrogato. Uno dei team che avevano raccolto la sfida adottò tre principi chiave.Il primo, come ebbe a dire Frank Maslen, responsabile del progetto, era che nel gruppo di lavoro non ci sarebbero state superstar. Tutti erano necessari. Tutti avevano un punto di vista valido. Il secondo riguardava lo standard lavorativo che poteva essere uno solo: il migliore che si potesse immaginare. Il terzo fu di suggerire al suo capo, Geoff Tudhope, di farsi gli affari propri perché sapeva che il potere può essere un agente di disturbo. Ciò non significa che Tudhope se ne stette senza far nulla. Fornì alla squadra la copertura aerea e l’ascolto necessari per garantire che rispettassero quei principi. La cosa funzionò e tra tutte le aziende impegnate in questo difficile problema, questo gruppo fu il primo a trovare una soluzione. E fino ad oggi, il Protocollo di Montreal è l’accordo internazionale sull’ambiente di maggior successo che sia mai stato realizzato.
15:00All’epoca la posta in gioco era alta e lo è ancora oggi. Certo, non risolveremo i nostri problemi se ci aspettiamo che la soluzione arrivi da un gruppo di superuomini o superdonne. Oggi c’è bisogno di tutti.Solo se accettiamo che tutti gli individui hanno un valore saremo in grado di liberare l’energia, l’immaginazione e lo slancio necessari per creare l’eccellenza.
Caro Alberto,
Soluzione finale eccellente, nobilissima, e desiderabile.
Ma, Come difenderci da coloro che fanno il male per ignoranza o per partito preso?
Come ti comporti con uno che ti dice: “Ottimo, meraviglioso. Concordo in pieno”.
Poi quando viene al tuo incontro e fingendo di abbracciarti ti da una pugnalata alla schiena?
Domanda lecita, risposta non semplice.
Innanzitutto, il fatto che siamo tutti uno non evita che ci possa essere chi vuole farci del male e, viceversa, che esista chi ci vuole fare del male non smentisce l’unicità.
Pertanto, il primo passo è capire l’unità, anche nella persona che ci vuole fare del male. Questo capire non vuol dire che si accetta supinamente: magari ci si difende, magari si cambia strada, magari gli si chiede: “perchè?”.
Un po’ come quando, dopo che a uno hai spiegato il decorso del processo Biologico di Hamer, l’SBS, che normalmente viene definita “malattia”, quello ti chiede: “E allora? Se mi viene un tumore non devo fare niente?“. Certo che no. Devi fare qualcosa.
Ma quello che fai, e soprattutto COME lo fai, cambia enormemente a seconda che tu abbia capito il PERCHE? del male che ti è venuto o meno. Magari, alla fine, farai anche le stesse cose: chirurgia, radioterapia, chemioterapia. Ma un conto è farlo CONTRO il male oscuro, un conto è per contenere, accompagnare, asswecondare un processo biologico e sensato.
Anche perchè se ti occupi solo ed esclusivamente del tumore, che è un sintomo, senza caprine la causa, magari a distanza di anni ti torna. E siamo daccapo.
La stessa cosa è in società, con i violenti e i cosiddetti “nemici”. Puoi combatterli, immobilizzarli, legarli. Ma se la causa che ha portato all’esistenza di persone violente non viene rimossa, altri ne arriveranno. Bisogna alzare lo sguardo, apmpliare l’orizzonte oltre l’azione immediata, contingente.
Pensa alla cosiddette malattie autoimmuni. Come spiegare le malattie autoimmuni? Questo -bastardo- sistema immunitario che tutt’ad un tratto ci si rivolta contro e ci attacca? Sarà impazzito? Allora meglio avere un sistema immunitario debole, che, non si sa mai, qualora ci si rivoltasse contro non avrebbe molta energia da usare contro di noi?
Non c’è una risposta unica che vada bene sempre, e in ogni caso. Ma la conoscenza aiuta, secondo me, moltissimo ad affrontare con i giusti mezzi, e con l’approccio giusto, ogni “malfunzionamento” o presunto tale, sia esso del proprio corpo o della propria comunità. E soprattutto nella giusta prospettiva, non soltanto immediata ma a media e lunga durata.
Beh…elementare…buon Elisèo…devi star sempre Vigile ed Attento…
e ben consapevole di aver a che fare con Felloni e Maramaldi…
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devi anticiparlo…e pugnalarlo Tu,per primo…come giusto…
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certo…beninteso…non alla schiena,come vilmente vorrebbe far lui…
ma al Pètto…dandogli una Stoccàta al Kore…e sine Pietà…hàhàhà…
Molti anni fa dicevo ad un interlocutore:
“ma tu perchè vuoi sempre raccontare balle e imbrogliare il prossimo?”
Perchè studi sempre di ingannare qualcuno, di raggirarlo, di derubarlo, calunniarlo, farlo cadere in disgraziaridurlo in rovina per poi ridere di lui?
E quello mi rispose:
Ebbene si. perchè Io sono così e mi piace fare così.
La rana e lo scorpione. Se incontri una persona che è cambiata, fagli un inchino. Moltissimi preferiscono stare nel loro solco, tutta la vita, molto spesso lamentandosi.
Azzo…Elisèo…ma mica incontrasti proprio Rènzi…hìhìhì…???
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QVIA…quanto Tu scrivi è proprio la sua fotografia…hàhàhà…!!!
C. G. Jung ha dimostrato, attraverso le sue ricerche, che esiste una correlazione tra l’inconscio individuale e quello collettivo, una trasmissione psichica inconscia tre le generazioni che ora viene studiata dalla psicogenealogia, dalla programmazione neuro-linguistica, da alcuni neuro scienziati (che affermano che il motto “penso dunque sono” si può trasformare in “penso dunque siamo”) , dalla fisica quantistica (aspazialità.atemporalità-sincronicità) ecc.
Scrisse Jung nel suo libro “Ma vie”:
“Mentre lavoravo al mio albero genealogico, ho capito la strana comunanza di destino che mi lega ai miei antenati. Ho fortemente il sentimento di essere sotto l’influenza di cose o problemi che furono lasciati incompleti o senza risposta dai miei genitori, dai miei nonni, dai miei bisnonni e dai mei antenati. Mi sembra spesso che sia una famiglia, un karma impersonale che si trasmette dai genitori ai figli. Ho sempre pensato che anch’io dovevo rispondere a delle domande che il destino aveva già posto ai miei avi, domande alle quali non si era ancora trovata una risposta, o anche che dovevo risolvere o semplicemente approfondire dei problemi che le epoche anteriori lasciarono in sospeso.La psicoterapia non ha ancora tenuto abbastanza in conto queste circostanze:”
Un caso che mi ha molto colpita riguarda una giovane che, quindici anni anni fa, mi chiese informazioni sulle scoperte del dr. R. G. Hamer perchè desiderava capire la causa del suo tumore. Mi raccontò che il suo nome le era stato assegnato in ricordo di due parenti decedute anni prima della sua nascita, una cugina e una zia. La cugina si ammalò e morì giovane della stessa grave malattia che lei ebbe da adolescente e la zia si ammalò e morì a seguito del suo stesso tumore . Il fatto di essere sopravvissuta, si disse quasi miracolosamente, alla sua prima malattia l’aiutò a ben sperare anche nel caso della nuova diagnosi di tumore. Desiderava però conoscere le cause e l’evoluzione biologica del suo tumore che comprese poi attraverso le scoperte del dr. Hamer. Questo caso, così particolare, evidenzia come alcune scoperte possono aiutare la guarigione e la risposta ad alcune di quelle domande che, come sopra esposto, Jung aveva posto a seguito delle sue intuizioni.
Mentre noi tentiamo di approfondire i temi dell’inconscio collettivo io vorrei farvi osservare il comportamento di alcuni che agiscono sul piano del cosciente attuando il piano di distruzione della Nazione Italiana come si può osservare nel https://youtu.be/7GUIiv38HRY che allego alla presente.
Cordiali saluti a tutti
Eliseo
In altre parole, caro Alberto e gentili interlocutori, stiamo vivendo un’ora gravissima che porterà e già sta portando dolore miseria e morte per la popolazione italiana indifesa.
Dunque mi chiedo e vi chiedo: Visto che siamo dominati da un gruppo di delinquenti dementi che ci stanno legando mani e piedi e stanno entrando in casa nostra per derubare ogni nostra ricchezza, perchè la Chiesa di Roma o almeno i suoi esponenti più valorosi se ne stanno zitti zitti e non avvisano le pecorelle che il lupo è entrato nell’ovile.
Significa forse che i principi della chiesa sono digiuni in materia di economia politica e emissione monetaria delle nazioni?
Ovvio…Elisèo…che,stando così le cose,ormai irreparabili…
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la Soluzione non sarà …” gandhiàna “…bensi…” Gordiàna “…
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con buona pace delle pavide e tremebonde pecorelle…AMEN…!!!