Ricopio queste interviste all’amico Enrico Galoppini, esperto di cultura araba e problemi mediorientali e blogger del sito Il Discrimine.
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Dopo Parigi è “guerra” all’Islam? Intervista ad Enrico Galoppini
Giovanna Canzano ha intervistato per il quotidiano “Rinascita” ed altre testate Enrico Galoppini, studioso del mondo arabo-islamico e redattore di “Eurasia – Rivista di studi geopolitici”.
Parigi il giorno dopo. Il secondo attentato. Ma questa volta è guerra?
Per poter parlare di “guerra” bisogna sapere per prima cosa chi ce la sta dichiarando e a chi la si vuol fare. E qui cominciano i dolori. Perché a sentire le esternazioni dei politici (si noti che il primo in assoluto, prima ancora di Hollande, è stato Obama!) sembrerebbe una guerra dichiarataci dall’Isis, cioè dal “terrorismo islamico”. Ovvero da un generico “terrorismo” e… in definitiva, dall’Islam tout court!
Ora è chiaro che tutto questo rimestare in un minestrone di parole dal quale deve saltare fuori “l’Islam” come “nemico pubblico numero uno” è un inganno spaventoso, oltre che una cosa assurda. Vogliamo fare la “guerra all’Islam”? Ah sì, e allora facciamo la guerra ad oltre due miliardi di persone? Vogliamo dichiararla agli Stati che, ufficialmente, sono più “islamici” di altri? Ma quelli sono gli alleati di ferro dell’Occidente! Intendiamo allearci allora con quegli stati arabi (ed islamici) che combattono da anni il cosiddetto “terrorismo islamico”? Manco per idea, perché gli occidentali han fatto di tutto per sovvertire il governo siriano e gioivano quando in Egitto erano andati al potere i Fratelli Musulmani. Gli stessi inqualificabili e scellerati che hanno distrutto la Libia ed ora si atteggiano a vittime del “terrorismo islamico” e si mostrano disperati di fronte al numero incalcolabile di “profughi” in marcia dalle stesse regioni devastate!
Dunque, per parlar chiaro, non sarà “guerra” con nessuno, o, se lo sarà, si tratterà di una cosa che logicamente non avrà alcun nesso con la pretesa causa scatenante. Un po’ come per l’11 settembre 2001, quando per rispondere ad una “guerra” portata all’America da terroristi per lo più sauditi della famigerata al-Qa’ida (che nessuno ricorda più) è stato invaso l’Afghanistan!
Più verosimilmente ancora, mentre a parole si scateneranno nuove “crociate”, nei fatti avverrà che chi deve “capire” capirà. E si adeguerà al messaggio in stile mafioso portato da questa nuova strage di gente inerme. I cui familiari, sia chiaro, non riceveranno mai alcuna compensazione per il duro colpo subito, esattamente com’è successo a tutte le vittime del “terrorismo” negli anni della “strategia della tensione”… A tutte queste persone non potrà mai essere gabellata per “giustizia” una serie di bombardamenti massicci su chissà quale area del Medio Oriente, ma i nostri cosiddetti governanti, purtroppo, più di questo non sanno o non riescono a fare.
L’ISIS avanza in Europa?
L’Isis non avanza in alcun modo perché semplicemente non esiste così come ce lo raccontano. Questo spauracchio serve ad un sacco di cose, tra le quali – non ultima – un’esigenza estrema di tenere lontani gli occidentali dalla spiritualità tradizionale islamica. La quale, come si stanno sforzando di provare anche alcuni rari onesti commentatori che hanno accesso alla stampa più o meno ufficiale, è assolutamente inserita in quel filone sapienziale che origina dalla notte dei tempi e sul quale s’innestano tutte le tradizioni ortodosse. Tra queste ed ogni fenomeno modernista esiste un’inconciliabilità di fondo, perché ogni “riformismo” altro non è che concessione all’errore, anche se a questi sedicenti “fondamentalisti” piace tantissimo affibbiare ai musulmani tradizionali l’accusa di bid‘a(“innovazione”, cioè “eresia”), se non addirittura quella di kufr (“negazionismo”, ovvero il misconoscimento dei fondamentali dell’ortodossia).
L’Islam, nella sua accezione più ampia, ovvero quella di fenomeno anche politico e sociale, ha inoltre molto da insegnare agli occidentali per quanto riguarda problemi che li attanagliano e che non trovano soluzione. Penso a quelli della rappresentanza politica o della corruzione, per non parlare della politica monetaria e fiscale, dato che le indicazioni dottrinali al riguardo sono assai chiare sull’assenza di una moneta emessa “a debito” (o moneta-merce) e la tassazione dei soli patrimoni fermi anziché dei redditi. Gli occidentali, invece, vengono ammaestrati ad impietosirsi per il Charlie Hebdo, solo perché vengono raggirati di continuo e non sanno più distinguere quale abisso di degrado rappresenti certa “libertà di satira”, che peraltro prende di mira i simboli più sacri della tradizione religiosa cristiana. La quale, secondo una certa retorica “neo–crociata”, costituirebbe un caposaldo della “civiltà occidentale”!
In altre parole, gli europei devono smetterla di concepirsi “occidentali” se vogliono ritrovare se stessi e, diciamocelo chiaramente, vivere una vita meno disanimata e più a misura d’uomo. In questo, l’Islam può essere per l’Europa un esempio ed una valida fonte d’ispirazione. L’alternativa è quella di sprofondare nel nichilismo che travolge alla fine anche la stessa religione prevalente, mentre se gli europei riscoprissero una loro religiosità autentica non potrebbero essere stretti nella tenaglia dell’occidentalismo (americanismo) e del fondamentalismo islamico. I quali si affrontano sul ring ma si somigliano parecchio, mentre nel mezzo ci finiamo noi.
Quelli dell’ISIS sono strumenti di un ‘meccanismo’ ormai senza controllo?
No no, credo invece che, fatti salvi i sempre possibili “cani sciolti”, questi individui rispondano a precise catene di comando, altro che “fuori controllo”!
Affermare che gli attentatori sono elementi “fuori controllo” significa ammettere che essi colpiscono mossi unicamente dall’“odio per l’Occidente”, il che è esattamente ciò che vuol farci credere la propaganda occidentale stessa. Questi atti terroristici, che seminano morte tra persone intente nelle loro abituali attività, puntano al contrario ad obiettivi studiati molto freddamente. Sono, sotto un certo aspetto, atti di una guerra che, altrove, ha visto e vede ancora famiglie intere straziate da armi sofisticate che fanno meno orrore di una cintura esplosiva solo perché con la tecnologia i moderni hanno un rapporto che li ha resi insensibili ai suoi esiti più distruttivi. A Gaza o a Baghdad, a Kabul o a Beirut, le persone hanno fatto il callo alle bombe che dovevano portare la “democrazia” ed invece hanno solo ampliato i cimiteri ed aumentato il desiderio di vendetta di chi, poi, viene considerato “pazzo” se poi, un giorno, sceglie di fare il “terrorista”.
Il discorso non si esaurisce qui, ma anche questi sono aspetti che andrebbero considerati. Perché non è serio pubblicare prime pagine con titoli come “Israele ha fatto bene” mentre su Gaza piovono razzi da ogni parte e poi fare gli offesi con altri titoli “scandalosi” come l’ormai celebre “Bastardi islamici”. Poi si meravigliano se un giorno qualcuno, esasperato, fa una strage in redazione, ma sinceramente chi s’imbarca in una guerra, anche solo dell’informazione, quando l’informazione è un’arma che fa le sue vittime, deve prendersi le sue responsabilità. Insomma, un conto è “Charlie Hebdo”, che in un certo senso – se è vero che s’è trattato di un “commando jihadista” eccetera – se l’è cercata, mentre ovviamente dei turisti o degli spettatori d’un concerto non hanno alcuna responsabilità, ed anzi tra essi si potrebbe trovare anche chi è molto critico nei confronti delle stesse dirigenze occidentali che questi “terroristi” vorrebbero punire (mentre ammazzano solo gente innocente).
Tutto questo, ovviamente, non tiene conto della possibilità che in alcuni casi si tratti di totale manipolazione e malafede, perché sotto un “jihadista” che colpisce in una città europea si può celare qualsiasi cosa, tra cui elementi eterodiretti che non sanno alla fine a quale mulino portano acqua e addirittura soggetti che di arabo ed islamico hanno ben poco, tanto nessun tele-suddito saprà mai nulla davvero sulla reale identità degli attentatori (l’11 settembre 2001, sotto quest’aspetto, è emblematico).
ISIS solo ‘braccio’ armato dell’Islam, oppure niente di questo?
Al riguardo dell’Isis come ultima incarnazione di una tendenza modernista ed antitradizionale mi sono già espresso in vari scritti, ai quali rimando il lettore di quest’intervista [Il “Grande Medio Oriente” e il momento islamico dello “scontro di civiltà” (il caso italiano); Da Bin Laden al “Califfo”. La guerra finale contro l’Islam (per colpire l’Eurasia); Chi manovra i “modernisti islamici”?]. Non è possibile comprendere questo fenomeno se non lo s’inquadra storicamente (specialmente dalla metà del XVIII secolo) e se non si fa lo sforzo di coglierne l’intima natura “sovversiva” di tutto ciò che è stato l’Islam tradizionale per oltre quattordici secoli. È una china che, con esiti in parte simili, ha vissuto anche il Cristianesimo, con la nascita della cosiddetta “Riforma”, in tutte le sue varie declinazioni. Ovunque essa s’è imposta, fin dall’inizio, ed ovunque si sono affacciati i prodromi di essa, i risultati sono stati “guerre di religione” e una concezione del sacro impoverita e ridotta ad un freddo moralismo, che nell’Islam, così come nel fondamentalismo ebraico, si associa ad un “legalismo” altrettanto freddo e sterile.
L’ISIS in Italia? Sono già presenti nel nostro territorio e pronti a tutto?
Questo non lo devo sapere io, ma gli apparati preposti alla sicurezza di tutti e che tra l’altro paghiamo per questo servizio. Con questo intendo anche dire che ogni volta che si verificano gravi attentati come quelli di Parigi sono innanzitutto i servizi di sicurezza e di spionaggio a fare una figura barbina. Capisco che è praticamente impossibile controllare tutto e tutti, ma proprio per questo sarebbe importante smetterla di fare le pulci a cosa scrive un pincopallino qualsiasi su Facebook e concentrarsi su chi, perché e per come entra in un paese. Mentre mi pare che al riguardo la situazione sia parecchio preoccupante, se è vero – com’è stato documentato – che entrano “siriani” con passaporti taroccati che anche dei giornalisti d’inchiesta si sono procurati con una cifra relativamente contenuta.
Quanto ai giovani di famiglie musulmane nati e cresciuti qua, il problema è irrisolvibile, perché ci sarà sempre chi tenderà ad autoghettizzarsi pensando di aver subito, a torto o a ragione, una grave ingiustizia, che risale al momento in cui i suoi genitori o i suoi nonni sono emigrati e che poi è proseguita con una storia di emarginazione e sradicamento. L’emigrazione, volenti o nolenti, si porta dietro anche percentuali di persone che, in un misto di rivalsa e frustrazione, assieme al desiderio di sentirsi finalmente “qualcuno”, abbracciano qualche ideologia – e ribadisco “ideologia” – nella quale la religione è un puro pretesto per sfogarsi.
Certi giornalisti si sbalordiscono nel constatare che un ex “rapper” possa dedicarsi al taglio di teste in nome di un delirante “islam” (la minuscola, qui, è voluta), ma ciò non è affatto strano perché è proprio l’aver reciso i ponti con la tradizione autentica che conduce a certi gravi fraintendimenti, sui quali andranno poi a lucrare gli apparati d’intelligence di mezzo mondo che non vedono l’ora di attivare un “attentato islamico”.
Quest’attentato è una svolta?
Non saprei proprio, ma di sicuro qualche decisione la Francia dovrà prenderla, perché non fare nulla significa dare il segnale sbagliato che le si può combinare di tutto. Vede, la Francia è un paese che non è del tutto “occidentale”, nel senso che non è affatto conquistata all’americanismo e al suo modello. Parigi è una “città globale”, e come tutte queste città rappresenta la vetrina nella quale inscenare la finzione di una “classe media globale” che vuole solo divertimenti e bella vita.
La Francia vera la si vedrà presto al voto, quando, se non interverranno manipolazioni e forzature, il Front National, che non è un partito “regionale” come la Lega Nord, sbaraglierà l’attuale pariglia d’inetti. La Francia vera non può digerire a cuor leggero un’abnormità come il TTIP, il trattato di “libero scambio” tra gli Stati Uniti e l’Unione Europea. La Francia vera si ribella contro i matrimoni omosessuali e la cancellazione, dall’alto, dell’identità sessuale.
O la Francia ritrova se stessa, rigetta l’occidentalismo, smette di omaggiare il “Charlie Hebdo” e si rimette ai suoi eroi come Giovanna D’arco, oppure merita di vagolare nell’angoscia indotta da questo “terrorismo” ufficialmente “islamico” ma in realtà senza volto perché così lo vuole chi l’ha coltivato e foraggiato.
Adesso pare di capire che la Francia s’impegnerà di più in Siria. Ma che vuol dire? È dall’inizio che la Francia è intenta a sovvertire la Siria, quindi? Vogliamo credere che questa famosa “terza guerra mondiale” nominata anche dal Papa vedrà da una parte l’Isis e dall’altra tutto il “mondo civile”? Suvvia, sarebbe come credere che una partita di calcio dal risultato incerto si giocasse tra una squadra di amatori e una selezione dei migliori campioni mondiali!
Allora si abbia il coraggio (e soprattutto la creanza) di parlar chiaro e si dica a chi si vuol fare la guerra. La si vuol fare ai paesi islamici che sostengono il cosiddetto “Stato islamico”? E come la vogliamo mettere quando questi stessi sponsor sono partner più che appetiti per fare affari? Per quanto tempo racconteranno la favola della “cellula” composta da “reduci della Siria”? E che atteggiamento vogliamo tenere con il famoso “grande alleato” a sua volta alleato dei finanziatori “islamici” dell’Isis?
Gli italiani convertiti all’Islam si sentono in qualche modo vicini all’ISIS?
“Convertiti italiani all’Islam” vuol dire ben poco. Ci sono italiani che si sono avvicinati alla religione islamica vedendovi un ideale di giustizia sociale, e questi sono quelli più “politicizzati”. Non dico che necessariamente debbano sviluppare una visione che conduce ad una simpatia per l’Isis, ed anzi bisogna riconoscere in costoro un forte impegno a migliorare le società nelle quali vivono. Fatto sta che in qualche caso ci sono quelli che tendono a fanatizzarsi ad un punto tale che tutto ciò che non è “islamico” (e cioè non collima con la loro particolare ideologia religiosa) è da sopprimere con la violenza. Tra questi possono allignare gli elementi oggettivamente pericolosi (in combutta con altri, immigrati), ma credo che gli apparati di sicurezza li tengano già tutti d’occhio. Così come dovrebbero tenere d’occhio altri ambienti frequentati da teste calde, o, peggio ancora, che si dimostrano “amici” ed “alleati” e poi tramano per crearti continuamente problemi. Ripeto: o l’intelligence lavora nell’interesse del suo paese o è una burla che sta alle calcagna di qualche “imam fai da te” ma non vede che altrove si tessono trame assai pericolose per l’incolumità di tutti i cittadini.
Poi vi sono anche “convertiti italiani all’Islam” che hanno un atteggiamento alieno da ogni politicizzazione e pertanto vivono questa loro esperienza come un’occasione di rigenerazione spirituale. Senza voler dare patenti di “musulmano buono” o “cattivo”, credo di poter dire che quest’atteggiamento sia quello in grado di dare i migliori frutti, perché senza fare troppo clamore agisce come una provvidenziale influenza rettificatrice di un ambiente – quello occidentale – che ha un nemico più insidioso di ogni altro: il nichilismo, che tutti questi “nostri valori” per i quali dovremmo andare a combattere un fantomatico “califfo” non riescono in alcun modo a mascherare.
«Occidente nichilista, l’Is una setta deviante»
Siccome di banalità e di politically correct in questi giorni successivi alla tragedia di Parigi ne stanno scorrendo a sufficienza, dare voce ad uno studioso che è completamente disallineato alla vox populi può far solo che bene al dibattito. Enrico Galoppini, 46 anni, toscano, esperto di lingua araba e di storia e civiltà arabo-islamica, insegna all’università di Torino ed è uno dei fondatori del “Cesem – Centro Studi Eurasia-Mediterraneo”. Redattore della rivista Eurasia e animatore del sito Il Discrimine, fra le sue collaborazioni ci sono testate quali Limes, Imperi, La Porta d’Oriente, Africana, Rinascita, Italicum. Religiosamente parlando, si definisce «un cercatore di Dio vicino a tutte le esperienze “mistiche”, di ogni tradizione religiosa, perché la ricerca dell’Uno non ha colore né bandiera, che avversa e avverserà sempre sempre e comunque tutti i tentativi di seminare zizzania usando lo strumento della religione». Fatte le presentazioni, gli chiediamo cosa ne pensa dell’invito pressante, rivolto dai critici (anche non pregiudizialmente ostili) verso il mondo islamico, affinché condanni “senza se e senza ma” gli attentati di Parigi. Il professore sbotta: «Ogni volta che si verifica un attentato definito come “islamico”, scatta subito la richiesta occidentale di “scuse” da parte di un’entità quasi antropomorfica, una sorta di “signor Islam”, e comunque di una “presa di distanza” da crimini universalmente esecrabili che dei “rappresentanti” dell’Islam stesso dovrebbero dichiarare pubblicamente. A me questa cosa – che si ripete puntualmente dall’11 settembre 2001 – sembra davvero grottesca, perché nessuno è mai andato a chiedere “condanne” o “scuse” ai rappresentanti delle confessioni maggioritarie negli Stati Uniti e in Israele dopo attacchi terroristici (dizionario della lingua italiana alla mano) compiuti senza alcun rispetto per nulla e nessuno».
A quanto risulta, gli attentatori sono cittadini occidentali, la maggior parte francesi. È fallito il modello di integrazione della République, che a differenza di quanto viene scritto non è multiculturale (che è quello inglese), ma integrazionista, cioè basato sulla laicizzazione repubblicana (desacralizzazione, quanto meno dei simboli e modi esteriori)?
Sul concetto di “integrazione” sono state scritte intere biblioteche, ma la verità è che i modelli che una democrazia più o meno liberale può offrire non riusciranno mai a venire a capo del problema del “sacro” che, sgangheratamente e parodisticamente, riemerge con l’adesione di vari giovani “arabi” nati in Europa ad una “ideologia islamica”. Questo disastro è anche l’esito del nichilismo occidentale, il quale, sommato ad un allontanamento dall’Islam tradizionale da parte di chi non è più né carne né pesce, conduce a facili manipolazioni ed adesioni ad un “messaggio forte”, nella vana ricerca di un “protagonismo”un in una società dalla quale uno “sradicato” si sente fondamentalmente avulso. Il dramma, in fin dei conti, è l’immigrazione di massa in regime democratico.
La tesi di derivazione fallaciana sostiene che il problema non è il fondamentalismo islamico nella sua ultima incarnazione nell’Is, ma l’Islam in quanto tale. Da studioso della storia dell’Islam, come inquadra il “Califfato”?
Questo “Califfato” è uno sviluppo di al-Qâ‘ida, che a sua volta è uno sviluppo del “riformismo islamico”. Il quale, ci tengo a precisarlo, è essenzialmente letteralista e modernista, nel senso che rigetta la plurisecolare tradizione dei sapienti (di ogni scuola “ortodossa”) e dei santi (gli awliyâ’, tutti più o meno “eretici”) per ricercare una vana “purezza originaria” da rivivificare. Se pensiamo all’importanza attribuita al “libero esame” si colgono affinità notevoli con il paradigma delle varie sette cristiane “riformiste”. Dal punto di vista geopolitico, l’Is serve come scusa per ingerire sempre più nella regione arabo-islamica, e senza la sovversione occidentale di Stati quali l’Iraq, la Libia e la Siria non staremmo a parlare di questa entità.
Se questa è una guerra, che tipo di guerra è? E come dovremmo combatterla, in particolare noi italiani?
Questa della “guerra” è una polpetta avvelenata. È evidente che non si può dichiarare “guerra all’Islam” (cosa di per sé assurda) senza fare i conti con le alleanze di ferro occidentali (finanziarie e geopolitiche, per non parlare di certe “affiliazioni”) con alcune petromonarchie che, di concerto con l’America, hanno fatto il bello e il cattivo tempo. L’Italia, proprio perché abbiamo Roma, preda ambitissima da tutti, deve mantenere un ruolo equilibratore, senza farsi coinvolgere in “crociate” per conto terzi. Purtroppo abbiamo già fatto troppi compromessi, ma siamo ancora in tempo per invertire la rotta, seguendo le indicazioni che provengono da Mosca, dove hanno una visione molto chiara del problema strategico globale.
Quali sono le responsabilità dei popoli islamici? E quali quelle dell’Occidente?
La responsabilità principale di tutti quelli che si fanno fregare, in un modo o nell’altro, dalle sirene di una “guerra” tra Islam e Occidente sta in questo: che non si rendono conto di cadere nella trappola tesa da un unico Avversario, lo stesso che sia l’Islam che il Cristianesimo hanno chiaramente indicato come l’unico vero Nemico dell’uomo (Satana, Shaytân, in arabo, o Iblîs, il Diavolo). Tutto il resto è solo dettato da un intreccio spaventoso di affari inconfessabili delle élite e di chi comunque ha qualche tornaconto nel soffiare su fuoco, e di pulsioni umorali di chi si fa coinvolgere emotivamente in questioni messe lì apposta per manipolarlo e sfruttarne il sostegno. I popoli islamici (assai diversi tra di loro e compositi al loro interno, se solo si pensa alle differenze tra un Marocco e un’Indonesia, e quelle tra un musulmano fedele alla tradizione, uno che segue un’ideologia “islamica” ed uno anche solo “anagrafico”) hanno l’unica responsabilità di aver abbandonato la tradizione, così si sono ritrovati sballottati tra istanze apparentemente opposte, che abbiamo tra l’altro visto all’opera durante la “primavera araba”. L’Occidente (che significa di fatto un’Europa al traino dell’Angloamerica) porta invece la responsabilità di aver svenduto se stesso dopo la sconfitta militare della Seconda guerra mondiale, dalla quale deriva ogni nostra recente sciagura. Dal 1945, la nostra, di italiani ed europei, è la storia di una progressiva e tragica perdita di sovranità, politica, economica, militare e – diciamocelo francamente – anche culturale, con la religione che un poco per volta si è adeguata al “mondo” e ai “tempi”, tradendo dunque lo scopo per cui era stata istituita.
Tutto razionalmente chiaro.
Tutto logicamente inoppugnabile.
Mi resta comunque inspiegato perché questo comunemente riconosciuto Avversario faccia tutto questo bordello da millenni.
Forse una spiegazione analogica potrebbe essere esaustiva.
In Apocalisse 17.17: [17]Dio infatti ha messo loro in cuore di realizzare il suo disegno e di accordarsi per affidare il loro regno alla bestia, finché si realizzino le parole di Dio.
Anche l’Avversario sembrerebbe uno strumento Divino.
Mentre sulla responsabilità sono tranchant: nessuno è vittima innocente.
Ullallà che argomento scottante…. ma se Dio usa tutto a fin di bene, anche il male è a fin di bene? No, il male è male e il bene è bene. Anche se il male, in molti casi, è una strada obbligata per la crescita. Per viam diaboli, diceva qualcuno…
Così degradi Dio a un polo del mondo materiale: logica conclusione tipica della conoscenza discriminante.
Saluti a tutti.
Beh…parafrasàndo…
se non ci fosse…bisognerèbbe inventàrlo…
come justo…ERGO…necessàrio…” FLAGELLVM DEI “…
Certamente! Se l’ Uno ha stabilito che il male debba esistere, evidentemente il male ha un ruolo, una funzione. Nulla esiste senza il suo opposto.