Sentire il furbetto di Firenze (sì, proprio lui, quello che aveva detto che mai sarebbe andato al governo se non attraverso il verdetto delle urne, e poco dopo ci è andato con una giochetto di palazzo, quello che irride gli scienziati sugli inceneritori accusandoli di speculare sul dolore della gente, quello che dice che chi crede alle scie chimiche sarebbe da TSO) sfottere chi parla di decrescita felice mi ha fatto tornare in mente l’ottimo pezzo dell’amico Andrea Cavalleri che sullo stesso argomento si era espresso qualche tempo fa.

In buona sostanza, con l’arte oratoria che lo contraddistingue, l’ebetino (come lo definisce Grillo) ha capovolto le carte, dicendo:

“E’ particolarmente efficace per me rispondere ai sostenitori della teorica della decrescita che la decrescita è felice solo per chi non ha mai visto un’azienda chiudere perché la banca non ha dato il fido. E’ particolarmente felice parlare di decrescita in questo modo per chi in questi anni non ha mai incrociato il dolore di un cassaintegrato”.

“Ingannando doppiamente gli interlocutori:

  1. confonde il concetto di decrescita con quello di recessione, come scritto ottimamente in questa lettera aperta;
  2. finge di ignorare che il denaro “prestato” dalle banche non è altro che creato dalle stesse al momento del prestito, e che queste si possono permettere di “erogare” o meno tale denaro a loro insindacabile giudizio, solo perchè i governi hanno rinunciato alla sovranità monetaria.

Mentre sul secondo punto ormai si sta facendo sempre più chiarezza, almeno per chi si informa scegliendo le proprie fonti, vale la pena tornare sul primo.

Innanzitutto il meccanismo di fingere di mettersi dalla parte degli oppressi per lanciare una accusa a chi propone soluzioni è subdolo e fuori luogo. Come sostenere che chi critica la versione ufficiale dell’11 settembre specula sulla disgrazia di migliaia di persone: che c’entra? Proprio perchè si cerca la giustizia, proprio per quellle vittime, innanzitutto, che si cerca la verità! O come lo stesso ebetino che, per sostenere gli inceneritori, accusa quelli che sono contrari di speculare sui malati di cancro: ma come, se è proprio per difendere la saluta e la vita che si è contro l’inquinamento?

Ma a parte il metodo, entriamo nel merito. Forse il nostro era troppo giovane (anzi, doveva ancora nascere) quand Bob Kennedy, fratello del presidente ammazzato (e ammazzato pure lui, quando era in dirittura d’arrivo per la nomina democratica alla presidenza) fece il famoso discorso sul PIL. Il PIL sale anche se una famiglia divorzia, sale se la Costa Concordia va a picco; il PIL cresce se aumentano i tumori, se aumentano gli incidenti, se si va in guerra.

Avere quindi come unico parametro di riferimento il tasso di crescita è come minimo segno di idiozia, in caso di buona fede, o di qualcosa di peggio, se siamo disposti a pensare male. Ma come? In una società che ormai abbonda di tutto, dove la roba non sappiamo più dove metterla, dove esistono anche gli “hotel delle cose” (eh già, dove mettere le cose che non si usano?), dove stiamo per essere sommersi dalla spazzatura che produciamo, inondando il mare di plastica, questo ci sta ancora a parlare di crescita?

Io, ve lo dico apertamente, non credo all’incompetenza: io penso male. E penso che il miraggio dello sviluppo, della crescita a tutti i costi, sia uno strumento per distogliere l’attenzione dal presente e concentrare sul futuro, con l’illusione che questo sia migliore. Non guardate gli sprechi, non guardate la crisi, non guardate l’ingiustizia: vi aspetta un domani migliore, E così, come ben detto in questo breve documentario “Enough is enough” (quando è troppo è troppo, scaricabile gratuitamente), “Growth is a substitute for inequality“, cioè grazie all’idea di crescita si può far sopportare alla gente la disuguaglianza (e l’ingiustizia, aggiungo io).

In fondo è sempre il solito trucco: spostare l’attenzione sul futuro, per far accettare il presente.

Dateci 1000 giorni.

Poi ne riparleremo (tanto, fra 1000 giorni ci sarà qualcun altro…).