lou reed

Sul bel blog di Costanza Miriano ho letto questo articolo che parla della morte dell’artista rock Lou Reed e di come, all’insaputa dei più, lui si fosse convertito al cattolicesimo nella parte finale della sua vita. Ovviamente TV e giornali non hanno sottolineato questo aspetto, si sa, per una forma di pudore e di rispetto, credo, che si riserva a chi è dipartito, ma la lettura di questa – ennesima – conversione mi ha riportato alla mente il film di Wayne Dyer “The Shift” di cui avevo già parlato qui. E così, andandomelo a rivedere, sono rimasto ancora più incantato dalla bellezza di questo film-intervista che, senza eccessiva volontà di presentarsi come una lezione di catechismo (che avrebbe sicuramente scatenato reazioni allergiche a molti che, per una errata educazione iniziale nella loro vita religiosa, per un errato imprinting come ho scritto qui, hanno immediatamente la nausea e il mal di testa non appena si accenna a qualcosa di trascendente), riesce a far passare concetti profondissimi in una maniera semplice, piacevole, scorrevole.

Avevo chiesto a Costanza di vederlo perchè lei, sicuramente molto più ferrata di me, forse può scorgervi qualche cosa di non ortodosso, forse qualche richiamo di tipo new-age o qualche castroneria dottrinale: ma poi, senza aspettare i suoi commenti, ho deciso di pubblicare comunque questo post, perchè sono convinto che il messaggio sia troppo bello e risuona dentro come solo le cose vere possono fare.

Non vi racconto qui il contenuto nè la trama, vi invito ad andarlo a vedere (si trova su Youtube sia in inglese che in italiano), e a dedicargli il giusto tempo e il giusto spazio: se una canzonetta o un filmetto leggero si possono mettere sull’iPad in cucina mentre si lava l’insalata, qui i contenuti sono tanti e così profondi che bisogna dedicarcisi in maniera esclusiva. E anche il format scelto è molto bello: nonostante ci sia una parte preponderante di intervista a questo autore, Wayne Dyer, che ovviamente “interpreta” sè stesso, sullo sfondo ci sono alcune storie che ben rappresentano quello che viene nel frattempo spiegato. Storie di cambiamento, di shift, appunto, dove…

  • dove l’EGO lascia il posto all’io vero;
  • dove la separazione dal resto del mondo scompare e lascia il posto ad un senso di appartenenza al tutto;
  • dove la lotta per procurarsi ciò che ci serve (o che noi riteniamo ci sia indispensabile) lascia il posto al riconoscimento che nulla di quello che ci serve ci mancherà mai;
  • dove il senso di diritto lascia il posto al senso di gratitudine;
  • dove la volontà di controllo lascia il posto all’abbandono e all’affidamento fiducioso;
  • dove l’interesse per noi stessi e per ciò che noi possiamo realizzare lascia il posto all’interesse per gli altri e a come possiamo aiutarli a realizzare i loro sogni;
  • dove ci si rende conto che non otteniamo ciò per cui lottiamo ma attiriamo ciò che siamo.

E questi cambiamenti avvengono con alune caratteristiche comuni: quasi sempre serve un “punto di minimo” (benedette le disgrazie, verrebbe da dire, se non si rischiasse di essere malintesi o addirittura cadere nell’errore dottrinale che dice che le disgrazie sono mandate da Dio per convertirci), e sempre c’è un incontro personale, a volte quasi magico, e sempre un cambiamento di ottica dall’IO, da ciò che è dentro di me, a ciò che è fuori.the_shift_poster_by_wayne_dyer

Un paio di noticine: non credo sia troppo adatto ai giovani, ai vostri figli. Questo genere di cambiamento, conversione, difficilmente lo si comprende in una fase della vita in cui si è impegnati a costruire, combattere, superare sè stessi. E forse è giusto così. Una seconda nota: per chi può, per chi lo capisce, la versione in inglese è molto meglio (ne esiste anche una sottotitolata in spagnolo, in italiano non so). Alcuni giochi di parole sono intraducibili; ad esempio: “Letting go, Let -in God” (lasciare andare, mollare la presa, e lasciar entrare Dio); oppure dove all’inizio dice che mettiamo Dio ai margini (edge) della nostra vita: chi è che lo fa? “Edge God Out (lascia Dio ai margini)”: quindi l’EGO.

Insomma, torno a raccomandarvi caldamente questo film, magari mi dite poi cosa ne pensate.