valerie

Nel pluricitato (in queste pagine) film “Fair game“, storia vera di una spia della CIA, la protagonista, che aveva convinto alcuni scienziati irakeni a collaborare con gli USA in cambio dell’espatrio per loro e le loro famiglie, si trova ad un certo punto abbandonata dai suoi stessi superiori una volta iniziata la guerra,  impossibilitata a garantire loro quella sicurezza che gli aveva promesso. Nel disperato tentativo di mantener fede alla parola data, una sera tardi va addirittura a casa del suo capo, e, di fronte alla sua indifferenza, gli urla: “ma come fai a dormire, la notte?!?” e questo, con la massima serenità, le risponde: “io dormo benissimo, la notte“.

Mi è tornata in mente questa scena mentre assistevo ad una presentazione sui derivati, o meglio di quei contratti che le banche facevano (lo fanno ancora? spero di no) firmare ai clienti malcapitati che chiedevano finanziamenti, spacciandoglieli come assicurazioni sul rischio. Il relatore che ci presentava questi meccanismi diabolici ci raccontava che alcuni ex compagni di studi erano proprio finiti a lavorare nelle banche come “progettisti” di questi prodotti finanziari, che hanno mandato sul lastrico tanti imprenditori. E gli chiedeva: “ma come fate a dormire la notte?” e la risposta, invaraibilmente, era sempre la stessa, più o meno questa: “noi facciamo quello che ci chiedono, poi le strategie della banca non le facciamo noi; la vendita al cliente finale non la facciamo noi; la valutazione del profilo di rischio del cliente non la facciamo noi“, e via dicendo.

A ben pensarci, anche in guerra succede più o meno la stessa cosa: chi tira fisicamente il grilletto è solo l’ultimo anello di una catena, e tutto sommato neanche quello con maggiori responsabilità; si trova lì perchè altri hanno deciso che doveva essere lì; usa armi progettate da altri, comprate da altri ancora e pagate da altri ancora, attingendo da un budget per la cosiddetta “difesa” che altri hanno approvato.

C’è qualcosa di insano in questa divisione dei ruoli, in questo spezzatino di responsabilità, in questa specializzazione estrema che permette a tutti di dire: “ma io cosa c’entro?” iniziata con la rivoluzione industriale (il Taylorismo, la divisione del processo produttivo in azioni elementari facilmente apprendbili e ripetibili) e che ha in sè conseguenza ben più devsatanti della alienazione del lavoro di marxiana memoria. Ha in sè il germe della de-responsabilizzazione, in tutti i campi e a tutti i livelli: nella scuola il singolo insegnante deve solo applicare i programmi, i metodi e le metriche di valutazione che altri hanno pensato; nella sanità, il medico può solo applicare i protocolli e i farmaci approvati da altri; nell’industria idem, per non parlare delle forze armate, e così via.

Forse il successo di questo sta nel fatto che fa leva sulla naturale pigrizia umana: molto più facile eseguire degli ordini, applicare dei protocolli che pensare, analizzare, escogitare qualcosa di nuovo con la propria testa ogni volta, no? Peccato che così ci si renda complici di chi opera contro il bene comune, contro l’Uomo, e magari senza neanche accorgercene, o quantomeno con ottimi alibi a nostra discolpa. Ma la nostra responsabilità rimane tutta lì, pesante come un macigno, anche per il semplice fatto di non aver denunciato quello che vedevamo di sbagliato.

Non serve tirare il grilletto per essere assassini. A volte basta voltarsi dall’altra parte.