disturbi-apprendimento

Per uno come me, che per anni ha lavorato nelle vendite ed ora lavora nel marketing, il titolo di questo post appare scontato: chi lavora nel marketing è forzato, gli piaccia o meno, ad esercitare, sviluppare e sfruttare una buona dose di creatività per rendere ciò che genericamente “vende” al suo mercato il più appetibile possibile. Quello che però mi sta succedendo da un po’ di tempo mi ha un po’ spento la capacità di scrivere al punto che la domanda mi è sorta spontanea:

può la necessità di rendere interessante quello che si sta per produrre inibire la spinta creativa?

Un minimo di background è indispensabile. Elenco per punti.

  1. Qualche settimana fa organizzavamo una conferenza di Corrado Penna sulle scie chimiche a Padova, e l’amico-ospite Lucio si raccomandava: bene la denuncia, ma che ci sia, mi raccomando, una prospettiva, un qualcosa da fare di positivo che chi ascolta possa apprendere: la denuncia fine a sè stessa rischia di diventare sterile, generatrice di rabbia e senso di impotenza e alla fine abbiam fatto peggio: abbiam fatto il gioco del nemico.
  2. Poco tempo dopo, a cena da Lino, altro famoso blogger padovano (una bella concentrazione a Padova, non c’è che dire!), riportando lo stesso episodio, lui sosteneva il contrario: ad essere troppo buoni e troppo melliflui si rischia di non dare alla gente quelle secchiate d’acqua in faccia, quegli schiaffi di cui ha bisogno per svegliarsi.
  3. Fra l’altro lo stesso Lino era promotore di una bellissima idea di federazione fra i blog di controinformazione, e produzione contemporanea di un periodico cartaceo, per far uscire le informazioni dal ristretto (inutile che ce lo neghiamo, è ristretto, anzi, molto ristretto) giro del web. E per avere successo in una iniziativa del genere, con tutte le testate in profondo rosso, un minimo di “appeal” per il lettore medio, quello che non bazzica internet, lo si deve avere: come si fa altrimenti a convincerli a tirar fuori, che so, 50 € all’anno per un abbonamento? Anche qui: marketing!
  4. Scrivo a Costanza Miriano, l’altro giorno, per darle una minima tiratina d’orecchie perchè in un suo post, peraltro condivisibilissimo, non mette assolutamente in dubbio l’ipotesi ufficiale sull’AIDS, quella correlazione fra HIV e malattia che invece sembra essere proprio uno dei più grandi inganni della storia moderna. E lei, candida, che mi risponde: scrivilo tu, io non sono così esperta. Invito a nozze per me, comincio a buttar giù… ma poi mi fermo: la mia impostazione da markettaro mi impone di calibrare le parole, trovare il modo giusto per adattarmi ad un pubblico (quello del suo blog) che non è abituato a sentirsi dire certe cose. E mi blocco. E il pezzo rimane fermo alla terza riga.

Fatte queste premesse, ritorno alla domanda originale: possibile che la necesità di adattarci al mercato ci renda più difficle il compito? O non è viceversa uno stimolo che ci porta a fare sempre meglio, sempre di più, per cercare di svegliare spiriti addormentati, per conquistare – con amore – sempre più fratelli alla verità? Noi che scriviamo sul web, nei blog, gratuitamente, senza dover convincere snessuno a tirar fuori 1 € per leggerci, siamo un po’ viziati dall’assenza di questo imperativo: quello che scrivi deve essere sufficientemente interessante da convincere qualcuno che valga la pena di mettere mano al portafoglio per leggerti. E così facendo abbiamo un grosso vantaggio: possiamo dire la verità, senza problemi, senza fronzoli, direttamente; ma anche un grosso limite: siamo confinati a quel ridotto pubblico di poche centinaia o poche migliaia di lettori. Niente a che vedere con i milioni della televisione: a Sanremo Fazio faceva oltre i 10 milioni a serata.

Questa settimana sono stato a presentare a Malegno, sopra il lago di Iseo. Arrivando, ho visto un cartello stradale: indicava Lozio. E così mi è tornato alla mente un episodio di oltre 25 anni fa, quando io e mia moglie (allora non eravamo ancora sposati) andammo ad una settimana di ritiro organizzazta dal RnS, il Rinnovamento nello Spirito, allora nascente movimento guidato dal vulcanico (e dittatoriale!) don Dino Foglio. Successe, per una di quelle combinazioni in cui è difficile non vedere lo zampino del cornuto, che io e Chiara fummo assegnati al lavoro di lavaggio piatti serale, insieme ad una coppia di ragazzi romani che, come noi, erano abbastanza estranei a quell’ambiente, anzi loro ancora più di noi, ed erano stato invitati lì quasi con l’imbroglio (bonario), quasi si fosse trattato di una settimana vacanza fra i monti insieme a tanti giovani, punto e basta. Invece tutte le preghiere, i canti, i canti in lingua, ecc., ebbero il potere di quasi “spaventare” dei neofiti come noi che, oltretutto galvanizzati dal confronto con altri che la pensavano allo stesso modo, decidemmo, primo caso (e forse unico) nella storia delle settimane del RnS, di “scappare” a metà settimana.

La storia però, se finisse qui, darebbe adito ad una soluzione semplicistica: ci vuole tatto, non puoi affrontare una scalata se non hai fatto un po’ di lunghe camminate prima, ecc. Però l’esito è un altro. Il seme era stato comunque depositato, e il vedere tutta quella gente bella, allegra, radiosa, ci aveva comunque colpito. Infatti in seguito ritornammo a Lozio, e seguimmo poi per anni un gruppo di Rinnovamento, a Padova.

Non ho risposta univoca, avrete capito. A volte serve uno schiaffo, irruente, improvviso: come a San Paolo sulla via di Damasco. Forse l’unica risposta seria che si può dare è che, indipendentemente dal metodo, il “sottostante” deve essere sempre l’amore. Se c’è l’amore dietro, anche il secchio d’acqua gelida in faccia va benissimo.