Passato il periodo iniziale, quello dell’entusiasmo, della condivisione dei sogni e del progetto, in cui fra di loro erano andati d’amore e d’accordo, i rapporti fra i colleghi non erano più gli stessi. Le cose continuavano ad andare bene, le loro tournèe registravano un gran successo di pubblico e di critica; in un periodo in cui la televisione non esisteva ancora, e il cinema non era ancora così diffuso, una buona compagnia, con un nome che diventava via via sempre più conosciuto, non aveva difficoltà a riempire i teatri. Le difficoltà, però, c’erano, ed erano interne al gruppo. Gli attori si identificavano sempre di più nel ruolo, e volevano ruoli con maggior spazio, storie più incentrate sul loro personaggio.

Nel corso di una recita il re si inventò nuove tasse, di fronte ad un regista allibito.  Ognuno voleva dire la sua, uscendo dal copione, come se quello che usava gli appartenesse veramente. Succedeva una cosa strana: le parti si stavano cucendo addosso agli attori come se non esistesse più alcuna differenza fra il ruolo interpretato e la vita vera.

Il regista provava a spiegare: “Ma guarda che la professionalità, il talento, il fascino di un attore sta proprio nella sua capacità di rendere il personaggio, il suo conflitto interno, le sue spinte, le sue ambizioni, le sue paure; tu non sei il personaggio, tu lo interpreti!“. Ma non ci fu niente da fare.

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Questa la storia che ho in mente da alcuni giorni.  Per quale motivo? Provo a spiegarmi.

Stando in vacanza, incontrando molti amici e conoscenti, sentendo in giro, mi rendo conto che c’è un grande senso di disagio, inadeguatezza, per alcuni addirittura sgomento, pensando a tutti gli inganni che ci hanno propinato e a quello che accadrà. Siccome mi sento parte in causa, provo a dare il mio punto di vista perchè secondo me la preoccupazione, l’ansia, la depressione sono segnali negativi o quantomeno indicatori di un atteggiamento che secondo me è sbagliato.

(e che c’entra il teatro? Un attimo, ho preso la rincorsa lunga ma ci arrivo)

Deriva tutto da una frustrazione: la frustrazione di vedere (per molti per la prima volta) di vedere il mondo com’è, e non come dovrebbe essere. E la frustrazione è sempre figlia delle aspettative, deriva appunto da aspettative sbagliate. Queste possono essere di carattere generale (“pensavo di abitare nel migliore dei mondi possibili“) o di carattere personale (“è troppo quello che mi viene chiesto: non ce la farò mai!”).

Un paio di buone notizie.

Prima: vero è che con Gesù siamo salvi, lui ha già espiato i peccati al posto nostro, ci ha già aperto la porta al Paradiso: ma questo non significa che viviamo già in paradiso: lui stesso ha detto che Satana è il principe di questo mondo. Stiamo sereni: il libero arbitrio concesso all’uomo permette anche il male, e finchè molti uomini cadranno nella tentazione di prevalere sugli altri, il male ci sarà. Certo che va combattuto, certo che non deve essere accettato: ma senza l’ansia di vedere il risultato.

(E il teatro? Un attimo!)

Seconda: noi siamo chiamati a fare, nel migliore dei modi possibili, la nostra parte. Illusorio sarebbe però pretendere di cambiare il mondo o, peggio, di voler avere dei ritorni immediati, delle gratificazioni in cambio del nostro impegno. Se arrivano, di tanto in tanto, ringraziamo. Ma se non arrivano, pazienza: compiamo il bene non per averne utile immediato, ma perchè è giusto così.

Come deve fare l’attore: fare al meglio dei suoi mezzi il compito che gli viene affidato, con tutta la sua professionalità e arte; ma sarebbe sciocco l’attore che si illuda di cambiare la storia grazie alla sua recitazione. Il regista sa quello che fa, noi fidiamoci e non tiriamoci indietro solo perchè non capiamo la sceneggiatura.