Ieri sera c’è stata una riunione nel mio comune, convocata d’urgenza dal sindaco con volantinaggio porta a porta “per gravi ed urgenti motivi”. Ovviamente, con una tale premessa, l’auditorium era pieno di cittadini incuriositi ed un po’ preoccupati, ed io fra questi. Le comunicazioni riguardavano le difficoltà di bilancio del comune che, costretto dal cosiddetto “Patto di stabilità“, vede limitate ulteriormente le risorse finanziare erogate dallo stato. Significativa è stata l’informazione, da parte di un assessore, sul rapporto IRPEF pagato da residenti nel comune / trasferimenti dallo stato centrale: a fronte di circa 42 milioni di Euro che escono dalle tasche dei cittadini per l’IRPEF, meno di 2 milioni ne ritornano (a cui sommare l’ICI, ma quella è un’imposta locale).

Il sindaco ha notato che, trovandosi con altri colleghi sindaci, il malcontento è diffuso e trasversale, e non c’entra il colore politico: sindaci di destra, sinistra, lega, sono tutti d’accordo. Questo mi conforta sul fatto che il vero scontro non è fra destra e sinistra, ma fra centrale e locale, vertice e base. Oltretutto, non essendo stati toccati argomenti delicati come l’emissione di moneta e la gestione della stessa, mi è sembrato che si mancasse  il bersaglio. Per questo ho scritto la lettera che metto sotto, e la pubblico nella speranza che altri possano copiarla, utilizzarla, migliorarla, inviarla ai propri sindaci ed utilizzarla come grimaldello per cominciare, a livello comunale, periferico, quella rivoluzione che tutti stiamo aspettando.

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Cari Enrico e assessori,

grazie per la convocazione di ieri che ben rappresenta la tua (e vostra) volontà di rendere la gestione della Res Publica  una cosa nostra, dove in quel nostro includete tutti i cittadini, senza sentire l’incarico che vi siete accollati come un diritto a decidere in proprio, senza coinvolgerci. E questo vi fa veramente onore.

Entrando più nello specifico, sottoscrivo in pieno la tua osservazione sulla trasversalità del problema e (come ho già detto) ribadisco che il conflitto non è, come vogliono farci credere, fra destra o sinistra, ma fra centro e periferia: fra chi vuole centralizzare sempre di più, allontanando sempre di più le stanze dei bottoni dalla vita reale (e poi le lacrime di coccodrillo per i cittadini che “si sentono lontani dalla politica”), e chi invece vuole portare l’autonomia decisionale in periferia, dove i problemi quotidiani vengono vissuti, sperimentati, capiti.

Purtroppo la battaglia è una battaglia persa in partenza: chi scenderebbe in campo contro l’arbitro? È lui che fa le regole, vince, punto e basta. Oggi ci tolgono 500.000 euri di trasferimenti? Fra due anni ci toglieranno un milione, secondo la ben collaudata strategia della rana bollita. Impegnarsi in questo contesto è un po’ come dire al criceto che corre sulla ruota: corri un po’ più forte e più a lungo, vedrai che prima o poi riuscirai ad andare avanti! No. Sulla ruota, per quanto veloce e per quanto a lungo il criceto corra, resterà sempre fermo.

Allora bisogna cambiare le regole.

E chi può farlo?

L’avversario no di certo: non si chiede al condannato di portare lui la corda per la sua impiccagione, e magari di fissare anche la data dell’esecuzione. Ci vuole qualcun altro. I cittadini singolarmente? Sicuramente bisogna che la gente si renda conto, e da qui la mia proposta di fare una serie di incontri formativi. La gente deve sapere, deve essere istruita, per formare quell’humus culturale in cui le rivoluzioni avvengono. Però non basta. Siccome il nemico utilizza la leva del denaro e delle tasse per imbrigliare e soffocare le autonomie locali, bisogna colpire proprio dove è più debole e sensibile. E solo a livello di autorità comunale esiste lo spazio di credibilità per creare forme nuove, modelli nuovi che facciano da grimaldello per scardinare l’attuale sistema basato sulla moneta debito. Gli esempi e i precedenti non mancano, basta avere la coscienza che alternative non ce ne sono. Altrimenti fra un anno ci ritroveremo per sentirci dire che c’è stato un ulteriore taglio di trasferimenti dal centro, e fra due anni un altro, e così via.

Nell’intervento dell’assessore credo sia saltato agli occhi di tutti che, a fronte di 42 milioni di euro di Irpef pagati dai cittadini di Ponte San Nicolò, appena un paio ritornano dal centro. Ancora più scandaloso sarebbe stato far notare come la maggior parte del gettito Irpef raccolto in Italia va a pagare solo gli interessi sul debito pubblico, debito che non verrà mai ripagato, creato sia per spese folli e non volute (dalle guerre di aggressione, alla faccia della costituzione, alle spese per opere non volute come la TAV, ecc.) ma soprattutto perché lo stato ha abdicato da tempo a quello che è il suo vero e forse unico monopolio naturale: la creazione e gestione del denaro.

Credo che su queste basi si possa creare una coscienza compatta e coesa, dietro al suo sindaco e alla sua amministrazione, che possa costituire un esempio, un precedente che altri seguiranno. E –credimi- la paura di fare qualcosa di nuovo, di percorrere strade nuove, di aprire nuove piste, è proprio l’unica arma che hanno per impedire che ciò avvenga. Una volta aperta quella porta, una volta scoperto che è facile, non potranno fare nulla per fermarci.

A disposizione per approfondimenti.