Terzo: liberarsi dalla paura della malattia
Una delle paure più forti e più radicate nell’essere umano è la paura della morte, e, per estensione, anche la paura della malattia è tale da riuscire a condizionare i nostri comportamenti; come ha detto Steve Jobs in un famoso discorso, tenuto ai laureati di Stanford in occasione della loro cerimonia di fine corso, “Tutti hanno paura della morte, anche quelli che pensano di andare in paradiso attraverso di essa, se potessero, la eviterebbero”. In effetti, nel piano originale di Dio la morte non aveva posto nel paradiso terrestre, ma vi è entrata a causa del peccato. Ma tant’è. Qui siamo e qui dobbiamo vivere e giocare le nostre carte. La malattia, intesa non soltanto come anticamera della di partenza ma come elemento invalidante, che ci separa dalla comunità, è vista, specie nella nostra cultura definita giudaico cristiana come un castigo di Dio. A dire il vero c’è un fondo di saggezza in questa definizione: non perché Dio castiga i suoi figli, ma perché l’allontanamento (che l’uomo effettua sua sponte) dall’armonia e dal rispetto della natura che Dio ha creato ci causa una alterazione dall’equilibrio che il corpo cerca di risolvere. In questi termini, e solo in questi, possiamo dire che la malattia è una conseguenza del peccato, non perché Dio, offeso della nostra disubbidienza, si vendica facendoci del male.
In ogni caso siamo talmente avversi alla malattia che la saggezza popolare ha coniato un detto: “Non te l’ha mica ordinato il medico!” come dire che esiste solo una categoria che ti può imporre qualcosa, e tu non puoi ribellarti, e questa è la classe medica. A tutti gli altri puoi dire di no: puoi ribellarti, discutere, obiettare, argomentare: ma al medico no: lui ordina, e tu esegui. Ma se questa paura è così radicata, e la nostra sottomissione al medico è così grande, possiamo liberarci di questa paura? Se siete arrivati fin qui, al terzo passo, siete ormai forti e questo sarà un gioco da ragazzi. Un gioco da ragazzi, se seguite un semplice ragionamento e condividete pochi elementi basilari.
Primo: dove ha messo Dio l’uomo, quando l’ha creato? Nel Paradiso terrestre. Esiste qualche dubbio al riguardo di questa collocazione, che ci faccia dubitare anche per un solo istante del progetto di Dio? Risposta: no. Il progetto di Dio era per l’abbondanza, la pace, l’armonia, la ricchezza. Dio si rimangia la parola? No. È stato l’uomo, con la sua volontà (zuccone) di far di testa propria, a disobbedire al suo Creatore, e voler decidere cosa è bene e cosa è male, a rovinare tutto. Da lì sono cominciati i suoi guai. Cominciamo ad intravvedere una possibile via d’uscita.
Altra domanda: cosa distingue inequivocabilmente ciò che è morto da ciò che è vivo? Molte cose, ma, a ben pensarci, esiste una caratteristica delle vita totalmente incompatibile con la morte: e questa è il moto, il movimento. Perciò ogni legame, ogni catena, ogni impedimento al movimento è un passo verso la morte, quindi un processo di avvio alla malattia. E questo non è soltanto vero per ciò che è fisico ma vale anche per i legami di tipo spirituale. I legami, tutti i legami, sono, alla lunga, mortali. E –si badi bene- non si intendono qui soltanto i legami normalmente considerati negativi, come ad esempio l’attaccamento al denaro, o al potere, o a qualche vizio particolare. Su questi possiamo trovare facilmente un accordo generale: sono legami velenosi. Ma anche quelli che vengono normalmente considerati legami buoni (ossimoro: spero che alla fine converrete con me che non esistono legami buoni, tranne uno: il legame con Dio, l’unico legame che, paradossalmente, libera del tutto) sono velenosi, e , alla lunga, mortali. Penso qui al legame coi genitori, al legame coi figli, al legame verso la patria, anche al legame col proprio marito o la propria moglie: in quanto legami, impediscono il movimento, e sono, non mi stancherò mai di dirlo, velenosi e alla lunga mortali. Per questo Gesù disse: “Chi viene a me e non odia il proprio padre o la propria madre…” dove al verbo odiare io sostituirei il termine “taglia i legami”.
Sul discorso dei legami tornerò in un passo più avanti, per il momento mi interessava introdurli nel discorso della salute. È evidente che tutto ciò che ci lega, sia in maniera fisica ma soprattutto spirituale, lentamente ma inesorabilmente avvelena la nostra esistenza e ci conduce alla malattia prima e alla morte poi; per cui, chi non vuole ammalarsi, deve innanzitutto imparare a tagliare ogni legame. Anzi, possiamo vederla in positivo: ogni malattia non è altro che un campanello d’allarme di qualche malfunzionamento, e la prima reazione deve essere l’accettazione della malattia: se impariamo a vederla come un avvertimento cambiamo l’atteggiamento di opposizione e la volontà di combatterla che tanto male fanno al nostro organismo. Il segnale va accettato e assecondato: questo è il primo passo verso la guarigione. Poi va fatta una analisi più approfondita: qual è quel legame che non voglio o non riesco a tagliare, e in seguito del quale mi è venuto proprio quel disturbo?
Esistono sicuramente anche altre concause: i cibi che mangiamo sono essenzialmente impoveriti delle sostanze nutritive e avvelenati da additivi chimici, motivo per cui, come dice la teoria Gerson, agendo sull’alimentazione è possibile ripristinare il sistema immunitario che, autonomamente, combatterà tutti i mali. Ma io sono convinto che l’equilibrio psicofisico che si può ottenere tagliando i legami permette di combattere anche le deficienze del sistema alimentare.
Per chi non si accontenta di una visione così spirituale dei meccanismi di guarigione è opportuno introdurre alla Nuova Medicina del dr. Hamer: sintetizzo in poche righe il suo pensiero, anche col rischio di banalizzare, sperando di suscitare in voi la curiosità ad approfondire. Fra l’altro ricordo che ad una manifestazione in favore dello stesso Hamer, tenuta qualche anno fa a Roma, alcuni manifestanti esibivano un cartello con la scritta: “Grazie al dr.Hamer non ho più paura”.
Il Dr.Hamer era un affermato medico tedesco, forte oltretutto di alcuni brevetti per attrezzi di chirurgia che gli davano un buon reddito, e si era trasferito in Italia con la moglie e i 4 figli a praticare la medicina in forma gratuita. Il figlio, Dirk Hamer, si trovava in Corsica quando uno squilibrato, risentito perché credeva di essere stato oggetto di scherno al ristorante da parte di una compagnia di amici, imbracciò un fucile e sparò sulla barca nella quale Dirk stava dormendo, colpendolo alla gamba. Il ritardo nei soccorsi (oltre 6 ore), unitamente ad altre complicazioni, portò alla morte, qualche mese dopo, il povero giovane. Il padre, profondamente sconvolto da tale perdita, andò incontro ad una serie di malattie fra le quali un tumore al testicolo, dal quale riuscì – quasi miracolosamente e certamente inaspettatamente – a guarire.
Questa esperienza personale lo portò a indagare se potesse esistere una correlazione fra il tipo di male che lo aveva aggredito e la perdita del figlio. Andando a riesaminare tutti i casi di tumori di cui era stato a conoscenza, scoprì in ciascuno di questi una relazione molto stretta fra il tipo di tumore ed un evento, diciamo così “scatenante”, che lo poteva avere innescato. In breve produsse una teoria, o un sistema di leggi, che spiega tutti i fenomeni di cosiddetta “malattia” che ci affliggono. Perché scrivo “malattia” fra virgolette? Perché Hamer, con la sua Nuova Medicina, dà proprio un significato nuovo a quello che nella nostra cultura giudaico-cristiana viene visto come un fenomeno esterno, cattivo, che ci aggredisce, e contro il quale molte volte noi non possiamo fare niente. Il tumore, così come molte altre malattie, non sarebbe altro che una reazione adeguata, utile e prevista dalla natura ad uno shock imprevisto che viviamo da soli, non riusciamo ad “elaborare” e/o a condividere.
Se vi può sembrare inverosimile questo meccanismo naturale di autodifesa, immaginate un soldato che, sotto il tiro dell’artiglieria nemica, stia correndo da una trincea all’altra. Viene colpito ad una gamba, ma continua a correre e non sente il male fino a che non è arrivato al riparo, nella trincea. Il suo fisico, “sentendo” la situazione di pericolo, gli ha impedito di provare il male per permettergli di continuare a correre fino a quando non giunge al sicuro. Una volta al sicuro, il dolore dice: adesso ti devi riposare se vuoi guarire. Senza arrivare a questi esempi estremi, possiamo immaginare una situazione molto più familiare: il mal di testa del fine settimana del manager. Per tutta la settimana in ottima forma, 12 ore al giorno tirate di riunioni, confronti, scontri, e nel fine settimana, quando potrebbe godersi un po’ di meritato riposo, arriva il mal di testa a bloccarlo. Anche qui la natura ha fatto la sua parte: quando c’era la battaglia in corso il fisico dava il massimo; nel momento di pausa, il fisico richiede il riposo e l’attenzione che gli è stata negata durante la settimana.
La cosiddetta “malattia”, pertanto, rientra nei meccanismi naturali di difesa, e non deve essere “combattuta”; quello che noi consideriamo un morbo non è altro che la richiesta di attenzione del nostro fisico durante la fase di riparazione. Chiaramente si capovolge qui il modo corrente di pensare. Anche la banale influenza, da “male” da combattere, diventa in questo sistema di pensiero lo strumento con il quale la Natura ci dice che dobbiamo riposarci un po’.
Quindi non esistono “cellule impazzite”. La presunta spiegazione che spesso si sente fare delle “cellule impazzite”, che per qualche arcano motivo cominciano a proliferare senza ragione, oltre a non convincermi, mi è sempre sembrata una grandissima offesa a Dio. Un programmatore, nello scrivere le migliaia di righe di codice che compongono un programma, può inserire inavvertitamente degli errori che al verificarsi di qualche condizione particolare fanno sì che il programma si arresti o commetta qualcosa di non desiderato. Ma Dio non è un programmatore distratto: quello che mi hanno insegnato (e che sento intimamente) è che Lui fa tutto in maniera perfetta, e non esistono quindi errori di programmazione. Con la teoria della Nuova Medicina di Hamer anche la malattia ritrova il suo giusto posto, in un perfetto disegno di Amore Divino dove la rottura dell’armonia (ad opera dell’uomo) ha delle conseguenze sul nostro corpo, sulla nostra mente, sulla nostra anima. D’altra parte non è già scritto in Genesi che il voler fare di testa propria, il voler decidere di mangiare dell’albero della conoscenza del bene e del male (voler decidere autonomamente cosa è bene e cosa è male) ha posto l’uomo fuori dell’armonia della natura?
La visione unitaria è a mio avviso la parte più bella della teoria di Hamer: riesce a vedere l’uomo come un insieme di anima, mente e corpo, ma non solo, questo uno fa parte del tutto che influenza e da cui è influenzato. In tal modo Hamer riesce a vedere un’interessenza nel Creato che a mio avviso è quanto di più spirituale ci possa essere. Ed è un peccato che anche persone di fede che conosco lo abbiano bollato come non degno di approfondimento perché lui, nel criticare la medicina ufficiale, l’abbia definita “di derivazione giudaico-cristiana” (riferendosi esplicitamente alla parte che identifica la malattia come castigo divino). Siamo talmente occupati a cercare sempre il nemico, ad issare steccati, a definire gli schieramenti, che riusciamo a perderci la bellezza e completezza di una teoria così completa e a mio avviso “divina” solo perché abbiamo paura che qualcuno “non sia dei nostri”. Tanto per cambiare, il Diavolo, il divisore, ha proprio lavorato bene, anche in questo caso (e noi come allocchi ci siamo cascati).
Hamer riporta su un piano scientifico quanto affermato precedentemente su un piano spirituale: e queste conoscenze saranno sufficienti a mettervi in condizione di non temere più la malattia ma anzi iniziare un percorso individuale di scoperta del proprio organismo, delle migliori forme di alimentazione per la propria salute, perché, come dice l’health ranger, il ranger della salute Mike Adams, bisogna diventare desiderosi di imparare per tutta la vita (“life-long learner”).
Così facendo scomparirà la paura della malattia, insieme al timor sacro del dottore e le sue ricette.
tutto condivisibile, ma per favore hamer lasciamolo perdere con tutti i morti che ha sulla coscienza, e poi lui dal tumore è guarito con la chemio
Scusate ricordavo male, non con la chemio, ma con la chirurgia, quindi la medicina tradizionale: Nel marzo 1979, secondo quanto afferma lo stesso Hamer, gli viene asportato chirurgicamente -in due sedute a Tübingen (fonte: settimanale “Der Spiegel” dell’8 settembre 1997)- un cancro ai testicoli (fonti: sentenza del tribunale amministrativo superiore di Colbenza numero 6A 10035/89.OGV 9K; sito philar.com – pagina uno e pagina due; intervista Radio Toronto del 13 marzo 1999).
Nel 1985 muore sua moglie, Sigrid Oldenburg, a causa di un infarto cardiaco (una complicazione che è spesso la conseguenza di un tumore). Sua moglie aveva infatti un cancro al seno.
Non ho nè titoli nè forse la competenza per argomentare dettagliatamente una difesa di Hamer. Ma “a pelle”, o se preferiamo “di pancia” mi piace tantissimo la sua impostazione, il suo approccio globalizzante all’analisi della malattia e del malato. Forse non è “operativo”, nel senso che non ti dice esattamente come fare, ma preferisco (finchè sto bene) questo approccio piuttosto che quello della medicina tradizionale, completamente sintomatico e incurante dell’analisi delle cause prime.
Grazie per le tue osservazioni.
Hamer ebbe diagnosticato un cancro, ossia un tumore metastatico, con prognosi di pochi mesi di vita. E’ anche operativo perchè, oltre a consigliare varie terapie mediche , ivi comprese a volte anche quelle convenzionali e chirurgiche,oltre che naturalmente quelle psico-biologiche, si deve considerare che una corretta diagnostica è già di per sè parte importante dell’atto terapeutico.
Concordo con Alberto quando afferma che queste scoperte consentono di approfondire la conoscenza di se stessi e di avere una visione d’insieme della Vita come ha scritto Hamer nel suo libro “Testamento per una nuova medicina”: “Poichè in realtà tutto è uno e una cosa non è sensatamente immaginabile senza l’altra”.
[…] sotto il cappello della cosiddetta “Nuova Medicina Germanica”, ne ho scritto qui, qui e qui. Amici dottori hanno provato a smontarmele, anche con interessanti motivazioni, ma io continuo a […]