Per chi ha avuto la pazienza di leggere tutto il libro, o almeno l’ultimo capitolo (“Epilogo: il grande inganno“), propongo un richiamo ad una serie televisiva che vedevo quando ero piccolo; me l’ha fatta ricordare Paolo Franceschetti, con un articolo sul suo blog che ricopio:
Ve lo ricordate anche voi?
Anni fa in Tv mandarono un telefilm, che si intitolava Il prigioniero. Qualcosa nella trama mi affascinava. Ma non riuscivo bene e capirne il senso. Parlava di una persona che veniva portata a forza in una città; una città dotata di tutte le comodità, con gente gentile… insomma un posto ideale per vivere, ma era pur sempre una prigione da cui non si poteva uscire, governata da un misterioso personaggio chiamato “Il numero 1”, di cui non si conosce l’identità. In ogni puntata del telefilm il protagonista cercava di fuggire ma alla fine della puntata veniva regolarmente acciuffato e riportato nella città. Per tentare di fuggire il protagonista si candidava addirittura a importanti cariche politiche, fino a diventare “numero tre”, e poi “numero 2”. Solo nell’ultima puntata il protagonista scopriva chi è il numero 1, comprendendo anche il motivo per cui non riesce a fuggire dalla prigione: è lui il numero 1. Il protagonista cioè è prigioniero di se stesso.
L’ultima puntata venne censurata dalla nostra televisione e non andò mai in onda in Italia.
Suggerisce qualcosa? La prima, vera rivoluzione deve avvenire fra le nostre due orecchie!
Ecco perché non inizia mai la rivoluzione! 🙂 quello che avviene “tra le orecchie” non è “davanti agli occhi” e se non si può vedere non ci interessa (il GF e la partita invece stanno davanti agli occhi).
Ricordo anche una puntata dove il protagonista si faceva aiutare da un’altro prigioniero, il quale però, alla fine lo tradì credendolo mandato dal numero 1 (o chi per lui). Anche questa mi sembra una metafora attuale.
Non ricordavo quella puntata. Però la metafora è bella: ci frega il non fidarci gli uni degli altri! Invece quando abbandoniamo i nostri egoismi, il bisogno di avere in cambio qualcosa per quello che facciamo, succedono i miracoli (come quello descritto da Mazzucco in “Miracolo a ground zero”).
Grazie di avermelo ricordato (bella però quella serie, vero?)
La ricordo poco la serie, solo qualche spunto sporadico. Ma ricordo che era piacevole.
Comunque è vero che la gente quando condivide un dolore, una sofferenza, una tristezza è più propensa a condividere i propri sforzi, i propri beni con altri. Mi ha colpito molto una scena di diversi anni fa dove una famiglia, appena colpita da un lutto (la morte del nipotino), donava alla mia figlioletta un giocattolo di quest’ultimo. Mi colpì l’apertura di cuore con cui il gesto venne compiuto.
Hai notato una cosa curiosa, Alberto?
Che la maggior parte di noi è disposta ad abbandonare i propri egoismi (che pur consideriamo quasi scontati e neanche meritevoli di essere presi in considerazione) solo e soltanto quando succede qualcosa di veramente “grave”.
Tipo l’11/9 o una pestilenza o una guerra.
Viceversa, il benessere diffuso tende ad intiepidirci ed intorpidirci.
O meglio: a “velarci”.
In fondo, quando Gesù dice “è più facile che un cammello (o una gomena) entri nella cruna dell’ago piuttosto che un ricco nel Regno dei Cieli”. sta alludendo proprio a questo intrinseca capacità “velante” della ricchezza (in primis materiale, ma poi anche di tipo spirituale: vedi gnosi).
E qual’è la principale caratteristica di qualsiasi “velo”? Quella di non permetterti di vedere con chiarezza la Realtà circostante.
Quando i nostri “soldi”, stolidamente ed ottusamente “depositati” nelle banche, svaporeranno dalla sera alla mattina: ecco che un velo assai spesso sarà caduto.
Beati coloro che non ne resteranno afflitti. E che, anzi, ne gioiranno.
Magari perché avranno saputo in precedenza impiegarli in Progetti graditi a Dio.
Verissimo.
Tanto che, come dico nelle presentazioni del libro, chi ci controlla sta bene attento a che ciò non succeda.
Così come per le case farmaceutiche il cliente ideale è il malato, possibilmente cronico; e dalla malattia si esce solo per due strade: la guarigione, o la morte, e queste due strade sono entrambe non desiderate dalle case farmaceutiche, percè perdono un “consumatore”, alla stessa maniera per il sistema di controllo serve un cittadino preoccupato; non deve essere sereno, se non non riesco a pilotarlo, controllarlo, ecc; ma nenanche disperato, perchè potrebbe diventare un rivoluzionario o, come hai appena fatto notare mgari si sveglia, capisce i valori veri, e ri-diventa sereno e slegato da legami.
Insomma, alla fine vinciamo sempre noi (se ce ne rendiamo conto).
Ottimo!
BigFarm sta a malato cronicizzato come BigBrother sta a cittadino preoccupato!
Aggiungo: e come BigTax sta a contribuente indebitato!
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Ricordo quella serie, ma non mi piaceva: era inquietante…